Diete formulate appositamente anche per pappagalli: la parola al nutrizionista
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Phelsuma
Chi sono
I Phelsuma sono dei gechi diurni originari dalle isole dell’arcipelago malgascio (Madagascar, 22 specie originano proprio da qui, Comoro, Aldabra, Seychelles, Réunion, Round e Mauritius) salvo una specie che colonizza anche il Sudafrica e la Tanzania (P. dubia).
Il genere comprende circa 46 specie distinte tra di loro; il numero è comunque molto variabile ed è un continuo aggiornamento. Ogni specie ha evoluto nel tempo degli ettogrammi e dei segnali comportamentali specifici che ne hanno permesso la sempre maggiore differenziazione, limitando gli incroci tra specie diverse.
In natura questi sauri hanno abitudini arboricole, preferendo la bassa vegetazione delle foreste calde e umide. Non amano crogiolarsi al sole, ma preferiscono muoversi in mezz’ombra. Si sono adattati alla condivisione del loro habitat con l’uomo.
Tutti i maschi di Phelsuma sono fortemente territoriali e non tollerano la vicinanza di un rivale; purtroppo spesso anche le femmine sono aggressive, per cui in cattività è difficile poter far convivere più di una coppia nello stesso terrario.
Se catturati da un predatore sono in grado di effettuare l’autotomia e darsi alla fuga divincolandosi (lacerano la loro stessa cute).
Queste caratteristiche sono importanti: capire come si comportano in natura ci permette di sviluppare un terrario che sia il più adeguato possibile alle loro esigenza, evitando, o meglio limitando tante problematiche legate a errori gestionali.
Caratteristiche fisiche
Le felsume sono riconoscibili per la livrea vivace, generalmente verde ma, a seconda della specie, può avere puntinature o striature rosse, blu, verdi o nere. Molto spesso piccoli spot colorati e linee aiutano a individuare le specie e a dividerle tassonomicamente. Hanno una pupilla tonda, caratteristica tipica delle specie diurne, tranne i gechi della specie Phelsuma guentheri.
Una caratteristica unica di questi rettili è quella di avere due sacche endolinfatiche sotto la coda, che contengono carbonato di calcio e fungono da riserva per la regolazione del calcio, utile soprattutto per le femmine in gestazione che devono produrre il guscio delle uova
Ciò che accomuna tutte le specie è
• la natura arboricola/semi arboricola
• il periodo di caccia diurno
• le lamelle sub digitali adesive presenti in ciascun dito di ogni mano.
Le specie sono ulteriormente suddivise in grandi, medie e piccole. Le grandi raggiungono una lunghezza di 30 cm da adulte (Phelsuma madagascarensis grandis), le medie in genere arrivano a 18 cm mentre le piccole rasentano i 10-14 cm (Phelsuma madagascarensis mad.)
Dimorfismo sessuale
I soggetti maschi adulti hanno dei pori femorali molto evidenti, meno sviluppati invece nelle femmine. Nelle femmine adulte, le sacche endolinfatiche sono decisamente più sviluppate rispetto al maschio. In genere i maschi raggiungono la maturità sessuale nei primi dieci mesi di vita mentre la femmina qualche mese dopo.
Vita in cattività: l’allestimento del terrario
Nonostante generalmente preferisca un terrario scarno favorendo l’igiene, per queste specie credo sia fondamentale cercare di riprodurre il più verosimilmente possibile un ambiente naturale. La difficoltà è quella di ricreare un ambiente umido e caldo evitando lo sviluppo di muffe e la proliferazione batterica. La maggior parte delle Phelsuma richiede un terrario sviluppato in verticale, di plastica o vetro (questi materiali tengono meglio l’umidità e si possono pulire e disinfettare più facilmente). Per l’areazione sarebbe meglio un terrario in rete, ma sarebbe quasi impossibile ottenere la giusta umidità e la giusta temperatura (almeno un lato, generalmente il superiore, meglio sia comunque in rete)
Come substrato si può utilizzare della torba o della fibra di cocco e per aiutare a mantener alta l’umidità si può ricoprire con dello sfagno vivo metà terrario. Sotto al substrato invece è consigliabile posizionare dell’argilla espansa (uno strato di 2-3 cm è sufficiente), per drenare l’acqua assorbita dal terreno durante le nebulizzate ed evitare pericolosi ristagni.
Si possono inserire onischi spazzini, come ad esempio le Trichorhina tomentosa, che si nutriranno di feci ed eventuali residui. È infatti difficile in questo tipo di terrari rimuovere gli escrementi.
È preferibile inserire piante vere, interrate direttamente nel substrato o lasciate in vaso: Bromeliacee prevalentemente. Come arredi corteccioni e bambù di adeguate dimensioni a seconda della grandezza del terrario e della dimensione del geco, disposti in verticale, orizzontale e in obliquo, per permettere alle Phelsuma di arrampicarsi, riposare, nascondersi e fare basking.
Più spazio metteremo a disposizione e meglio sarà per questi animali.
A differenza di tutte le altre specie, le Phelsuma barbouri necessitano di un terrario sviluppato in orizzontale ed arredato prevalentemente con pietre.
Temperatura, Illuminazione e Umidità
La maggior parte delle specie di Phelsuma richiede temperature diurne intorno ai 27/28°C mentre di notte la temperatura può scendere fino ai 21°C. È opportuno quindi acquistare uno spot riscaldante (40/60 watt a seconda della grandezza del terrario
L’umidità deve essere mantenuta tra il 60% e l’80% nebulizzando il terrario diverse volte al giorno (generalmente due, di mattina e di sera). Le piante ed il substrato sono molto importanti a mantenere il giusto tasso di umidità.
Per quanto riguarda l’illuminazione, è consigliabile utilizzare lampade UVB con emissione 2.0% o 5.0% per prevenire eventuali patologie ossee.
Alimentazione
La dieta delle Phelsuma deve essere costituita principalmente da insetti vivi, quali grilli, blatte, camole della farina e drosofile, di adeguate dimensioni a seconda della grandezza del geco che dovrà nutrirsene. Gli insetti offerti dovranno essere spolverati da un integratore in polvere di calcio e Vit. D3.
Oltre agli insetti va offerta della frutta (anche in purea) e del polline puro diluito con un po’ di acqua, in natura infatti, integrano attivamente la dieta insettivora col nettare dei fiori ed il succo dei frutti maturi caduti a terra.
La frutta più appetita è quella tropicale, banana, ananas, etc.
Non è necessario fornire una ciotola contente acqua, i gechi berranno l’acqua nebulizzata all’interno della teca, dalle foglie delle piante, dai rami e dalle pareti del terrario.
Legislazione
Tutte le specie dei Phelsuma necessitano di CITES perché inserite in appendice II.
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La tricomoniasi nel canarino
La malattia degli occhi gonfi del canarino, scientificamente conosciuta come sinusite infraorbitale o SIC, è una malattia parassitaria che viene sostenuta da un protozoo: il Trichomonas.
Si manifesta come una tumefazione (gonfiore) a livello peri orbitale che può essere mono o bilaterale. Se non curata può degenerare, provocando un gonfiore progressivamente sempre maggiore della zona attorno agli occhi e un’infiammazione purulenta delle ossa del cranio.
I soggetti colpiti possono andare incontro a morte, sia perché, non vedendo, non sono in grado di alimentarsi spontaneamente, sia a causa delle infezioni batteriche secondarie in un soggetto indebolito e con le difese immunitarie compromesse.
I primi sintomi rilevabili sono
• Leggera congiuntivite mono o bilaterale
• L’occhio viene tenuto leggermente socchiuso
• Le palpebre possono essere leggermente aumentate di volume
• Il canarino può manifestare prurito e sfregare l’occhio contro i paletti
• Può essere presente imbrattamento delle piume intorno agli occhi
• Se questi primi sintomi vengono trascurati, nel giro di qualche settimana è possibile evidenziare una tumefazione nella regione sottorbitale. La lesione aumenta progressivamente di volume e diviene dura, indolore e di colorito giallastro. In alcuni casi può circondare tutto l’occhio estendendosi anche alla regione sopraorbitale.
• È possibile notare difficoltà nella deglutizione.
Fattori predisponenti
La malattia insorge maggiormente, durante il periodo riproduttivo nei mesi di aprile-maggio oppure durante periodi particolarmente stressanti quali il periodo delle mostre, nel caso di soggetti d’allevamento. Il clima più mite (caldo\umido) e il sovraffollamento, così come la riduzione delle difese immunitarie nei periodi di stress favoriscono la proliferazione di questo protozoo. Sono maggiormente colpiti i soggetti giovani.
Trasmissione
Il parassita si trasmette da un animale infetto ad uno sano. Non sempre il soggetto infetto “untore” ha i sintomi della malattia. Potrebbe trattarsi di un portatore sano (ovvero che trasmette il parassita, ma il suo sistema immunitario impedisce che questo lo danneggi) o di un soggetto in fase di incubazione ovvero che deve ancora manifestare i sintomi, ma che li manifesterà presto.
Diagnosi
La diagnosi si basa sui sintomi clinici caratteristici e sull’esecuzione di un esame batteriologico di ricerca specifico (tampone congiuntivale), e la visualizzazione del parassita al microscopio.
Terapia
se sono presenti più soggetti è fondamentale trattare l’intera popolazione. Sia perché la diffusione della malattia non è chiara, e può colpire soggetti potenzialmente non in contatto tra di loro (possibile contagio di tipo meccanico), sia perché oltre al soggetto sintomatico, possono esserci anche soggetti portatori sani o in fase iniziale di infezione, che manterranno vitale il parassita non permettendo una risoluzione della problematica.
Prevenzione
• Scrupolosa igiene dell’ambiente dove vivono gli uccelli, con disinfezioni periodiche delle gabbie, delle voliere, dei posatoi e delle attrezzature utilizzate, come mangiatoie e beverini con agenti acidi come ad esempio l’ipoclorito di sodio
• Non creare sovraffollamenti, specialmente durante la muta
• Eseguire correttamente la quarantena di tutti i nuovi arrivati.
• Stimolare le difese immunitarie somministrando integratori naturali
• Non utilizzare mai antibiotici ed altri trattamenti senza prescrizione medica per non ridurre le naturali difese immunitarie degli uccelli e creare delle antibiotico resistenze che possono essere molto pericolose.
Per quanto riguarda la terapia antiparassitaria, risultano efficaci sia il metronidazolo che il dimetridazolo. In presenza di più animali i farmaci possono essere sciolti nell’acqua anche se la somministrazione diretta per os risulta essere molto più efficace.
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L’alimentazione della cavia peruviana
Molte condizioni patologiche della cavia sono spesso legate ad una alimentazione scorretta, pertanto è di vitale importanza fornire un’alimentazione sana, completa ed equilibrata.
Le cavie peruviane, come i conigli, sono degli erbivori stretti (diversamente dal coniglio, però, non si è ancora capito esattamente come funziona il loro sistema gastrointestinale). Sono molto selettive e sviluppano delle preferenze e delle abitudini alimentari molto precocemente: per questo sarebbe fondamentale offrire sin da subito una vasta quantità di alimenti in modo da non incorrere in stati carenziali legati all’assunzione solo di particolari tipi di alimento. La criticità maggiore nella dieta della cavia è rappresentata dall’incapacità di sintetizzare la vitamina C, per il resto, una dieta sana prevede
• una disposizione illimitata di fieno. Il fieno è fondamentale per garantire un corretto sviluppo dentale e per mantenere in salute i microrganismi intestinali che sono i responsabili della digestione.
• Verdure fresche o erbe di campo
• Piccole quantità di frutta
• Acqua fresca
Dove sbagliamo di solito
La cavia peruviana origina da diversi paesi del Sud America, in particolare dall’Argentina, dal Brasile, dall’Uruguay e dal Perù. In natura vive in pianure erbose aperte. Il clima d’origine è asciutto, semi arido, temperato di giorno e freddo di notte. Sono strettamente erbivore e si nutrono di radici, erba e i pochi frutti che la terra andina offre. le radici e gli arbusti che trovano ad alta quota sono poco nutrienti quindi devono aumentare la quantità ingerita per soddisfare a pieno il loro fabbisogno giornaliero. In queste zone le caratteristiche del suolo e della vegetazione sono scarse, ed è per questo motivo che la cavia ha necessità di mangiare in continuazione, in modo da supplire alla scarsa qualità del cibo con la quantità. In cattività questo comportamento aimè rimane ma le caratteristiche qualitative della razione offerta sono molto diverse. Una delle principali patologie di questi animali è l’obesità, legata all’alimentazione diversa e anche alla poca attività fisica che generalmente fanno per limitazioni di spazio o di stimoli.
Fieno
La parte principale dell’alimentazione delle cavie è rappresentata dal fieno, che deve essere sempre disponibile e possibilmente di erbe miste; il fieno di erba medica ha una concentrazione di calcio eccessiva e alla lunga può influire sullo sviluppo di calcoli, va quindi evitato. Il fieno con il suo alto contenuto di fibre garantisce una buona motilità intestinale, prevenendo problemi stasi, e riduce i rischi di mal occlusione perché prolunga il tempo di masticazione e in questo modo permette un adeguato consumo dei denti. Come il coniglio, anche la cavia ha i denti a crescita continua: continuano a crescere per tutta la sua vita.
Verdure fresche ed erbe di campo
Le verdure fresche costituiscono la base della dieta. Si possono offrire tutte quelle adatte all’alimentazione umana, come radicchio, bietole, broccoli, cicoria, insalate e alimenti ricchi di vitamina C come, prezzemolo (piccole quantità), spinaci, peperoni rossi e cavolo.
Le verdure devono essere sempre fresche. Le erbe di campo possono essere raccolte in giardini o nei prati purché privi di pesticidi, erbicidi e altri tossici.
Vitamina C
Il porcellino d’india, come l’uomo e le scimmie, non è in grado di sintetizzare la vitamina C, e deve quindi assumere quella contenuta negli alimenti. La vitamina C, come tutte le altre vitamine idrosolubili, non può essere accumulata nell’organismo, che non ne può fare scorta, e quindi deve essere assunta nella quantità adeguata tutti i giorni, quella in eccesso viene eliminata dall’organismo senza conseguenze.
Una dieta ricca di verdure fresche, che privilegia la presenza di peperoni, prezzemolo, spinaci o cavoli, dovrebbe soddisfare il fabbisogno giornaliero di una cavia, che è di circa 30mg.
La vitamina C è fondamentale per garantire un normale stato di salute della cute, delle articolazioni, delle mucose, contribuisce alla guarigione delle ferite. Una carenza di vitamina C rende l’organismo più suscettibile ad altre malattie, comprese infezioni batteriche e le patologie cutanee. Alcuni sintomi associati a carenza di vitamina C possono essere:
• pelo arruffato
• diarrea
• riluttanza al movimento
• gonfiore articolare
• ulcere mucosali a livello di guance
Pellet
Il pellet è un alimento molto nutriente e calorico, nato per garantire un rapido sviluppo, che non va mai somministrato in quantità illimitata alle cavie perché può portare all’obesità e a problemi di mal occlusione. Se un animale è in grado di alimentarsi spontaneamente non è necessario integrare con mangimi commerciali. Personalmente li consiglio solamente nel caso in cui ci siano problemi dentali o sia necessario aumentare il peso dell’animale in presenza di patologie metaboliche. Il pellet delle cavie deve contenere il 16% di proteine, il 16% di fibra e soprattutto deve contenere un grammo di vitamina C per kg di prodotto.
Frutta
La frutta va offerta in piccole quantità, optando sempre per quella ricca in vitamina C: kiwi, fragole, arancia, uva nera, uva bianca etc. Essendo molto zuccherina naturalmente, se somministrata in eccesso può causare delle fermentazioni anche molto gravi.
Acqua
L’acqua non deve mai mancare. Preferisco le ciotole ai beverini che si trovano nei negozi. Attenzione alle caratteristiche qualitative dell’acqua perché in alcuni casi se troppo dura, può essere essa stessa che predispone alla formazione di calcoli.
Alimenti vietati:
• Mangimi a base di semi o cereali: possono causare gravi alterazioni intestinali
• Pane, pasta o biscotti: possono causare gravi alterazioni intestinali
• Il cioccolato perché è tossico
• Le parti verdi dei pomodori, la melanzana e patate perché tossiche
• I prodotti a base di latte perché possono causare gravi diarree
Come effettuare un cambio di dieta
Ogni cambio di alimentazione deve essere fatto lentamente, all’incirca nell’arco di alcune settimane, riducendo in maniera progressiva i vecchi alimenti e introducendo quelli nuovi, soprattutto nel caso si voglia passare da una dieta ricca di semi e fioccati ad una ricca di verdure fresche. In questo modo permettiamo all’intestino e alla flora intestinale di adattarsi alla diversa composizione del cibo.
Essendo animali molto abitudinari, ogni cambio dieta può essere molto problematico. Non perdete la pazienza, se procedete in modo graduale avrete sicuramente degli ottimi benefici.
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La GOTTA nei rettili
Per gotta si intende l’accumulo dei cristalli di acido urico nel sangue. Si tratta di una patologia abbastanza frequente nei rettili, e come nella maggior parte delle patologie è legata a una scorretta gestione dell’animale.
L’acido urico è il prodotto finale del catabolismo delle proteine. Tutti i rettili necessitano di introdurre proteine con la dieta. Specie diverse necessitano proteine diverse: animali\vegetali.
La capacità dell’animale di metabolizzare l’acido urico dipende da:
• la quantità di proteine introdotte
• la frequenza di somministrazione
• la qualità delle proteine
• lo stato di idratazione del soggetto
se non viene escreto l’acido urico in eccesso si deposita
a livello organico (gotta viscerale: tutti gli organi possono essere colpiti: fegato, reni, milza, cuore, polmone)
a livello del cavo orale e sono visibili come composti biancastri
a livello articolare (gotta articolare)
provocando infiammazione e dolore. Anche se molte volte la gotta articolare viene considerata una patologia a sé rispetto alla forma viscerale, nella maggior parte dei casi si tratta di una forma che precede la forma sistemica ben più grave (come del resto avviene, o meglio avveniva, anche per l’uomo).
L’aumento della concentrazione nel sangue di acido urico può essere dovuto sia ad un aumento della sua produzione sia una difficoltà dell’organismo a smaltirlo.
Fattori predisponenti:
1. diete con una concentrazione eccessivamente elevata di proteine (somministrazione di proteine animali a rettili erbivori per una mancata conoscenza delle reali esigenze del proprio animale, oppure per una semplice sottovalutazione delle necessità effettive)
2. proteine non ottimali
3. patologie renali, che impediscono ai cristalli di essere escreti dal corpo
4. disidratazione, legata ad una scarsa umidità del terrario o a una non disponibilità di acqua
Sintomi clinici:
• depressione
• debolezza
• letargia
• anoressia
• riluttanza al movimento per il dolore
• rigonfiamenti a livello articolare
• visualizzazione dei tofi in cavita orale
• scarse condizioni generali (disidratazione)
Diagnosi:
La diagnosi si basa sulla sintomatologia clinica, la visita, e sull’esecuzione di esami di laboratorio e radiografie.
Trattamento
Una volta che è stata diagnosticata la patologia sarà indispensabile correggere la gestione modificando la dieta e lo stato di idratazione del soggetto. Molto spesso ripristinando la funzionalità renale, il livello di acido urico nel sangue si riduce senza la necessita di intervenire a livello farmacologico. Per ridurre la dolorabilità si usano degli antidolorifici. Se il livello di acido urico non si abbassa si possono utilizzare dei farmaci (allopurinolo).
Prognosi
Buona se si è di fronte ad un aumento dei livelli di acido urico plasmatico semplicemente.
In presenza di depositi di acido urico viscerali\ articolari purtroppo la prognosi è meno fausta. Lo scopo della terapia è quello di ridurre il dolore legato all’infiammazione e migliorare, per il tempo che rimane la qualità di vita del soggetto. Nei casi più gravi è consigliata l’eutanasia per ridurre inutili sofferenze
Prevenzione
• Adeguato apporto di acqua
• Adeguata somministrazione di proteine
• Gradienti di umidita e temperatura ottimali
• Luce e supplementazione di calcio adeguati
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L’Atoxoplasmosi
Di cosa si tratta
L ‘ Atoxoplamosi è una malattia causata da un protozoo (Isospora Serini) che anziché limitarsi alla sola colonizzazione dell’intestino, attraverso alcune cellule del sangue (monociti e linfociti B), arriva a tutti gli organi (fegato, milza, polmoni, cervello, reni, ecc.). Si tratta di una coccidiosi sistemica.
Come si manifesta
E’, purtroppo, una malattia di difficile diagnosi perché i sintomi sono aspecifici e comuni a numerose altre malattie; presenta inoltre diversissimi quadri clinici possibili:
• diarrea
• disidratazione
• abbattimento
• arruffamento delle penne
• occhio semichiuso e infossato
• gonfiore addominale, per dilatazione del piccolo intestino
• splenomegalia
• segni neurologici maggiormente frequenti nei soggetti adulti: tremori, instabilità sui posatoi, soggetti che sembrano ubriachi o che sembra che non vedano bene
• segni respiratori: rantoli e sibili intermittenti, movimenti della coda, becco blu (ipossia)
• nel pullus: puntino nero (colecisti ripiena di liquido che non si è svuotata per un severo quadro infiammatorio intestinale) disidratazione, perdita di tono e volume dei muscoli pettorali ed imbrattamento del piumino. Purtroppo negli animali giovani la mortalità è elevata
Fattori predisponenti
Colpisce soprattutto i Passeriformi granivori, anche se risultano sensibili molti sturnidi e in particolar modo le Gracule.
La malattia è favorita dalle situazioni stressanti, che riducono la competenza del sistema immunitario,
• sovraffollamento
• parametri microclimatici non ottimali
• errori alimentari
• scarsa igiene dell’ambiente
La stessa malattia, essendo una malattia sistemica, riduce le difese immunitarie, rendendo il soggetto più esposto anche ad altre patologie
I fattori predisponenti alla malattia sono: l’introduzione in allevamento di soggetti adulti senza quarantena (possibili portatori asintomatici), ambienti umidi, polverosi e con insufficiente ventilazione.
È molto importante isolare i soggetti malati.
Trasmissione
L’ infezione avviene per via oro-fecale: il parassita viene eliminato nell’ambiente con le feci da un soggetto malato. L’ingestione delle feci comporta la trasmissione del parassita al soggetto sano. Va da sé che l’igiene ambientale limita notevolmente il rischio di contagio. Il parassita può vivere a lungo nell’ambiente ed è resistente ai comuni disinfettanti ambientali. Una volta infettato l’animale può manifestare i sintomi o rimanere portatore di questa malattia per periodi molto lunghi liberando nell’ambiente alcuni coccidi in maniera intermittente e non costante. È questo il motivo per il quale per poter fare un esame delle feci e rilevare la presenza di coccidi (non di Atoxoplasma) le feci vanno raccolte per più giorni in ore diverse della giornata.
Diagnosi
La diagnosi di Atoxoplamosi può essere fatta solo attraverso specifici esami di laboratorio su feci e/o sangue degli uccelli. In caso di allevamenti con più soggetti deceduti, è fondamentale effettuare degli esami necroscopici con ricerca di Atoxoplasma anche a livello tissutale. Un semplice esame delle feci, anche se raccolte di più giorni (i parassiti vengono eliminati ad intermittenza) non mi permette di fare diagnosi di Atoxoplamosi
Terapia e profilassi
Il trattamento ed il controllo dei protozoi responsabili della malattia passa anche attraverso l’utilizzo di programmi di pulizia e disinfezione dell’ambiente.
Ad oggi non esiste un trattamento efficace per eliminare definitivamente l’infezione dall’ospite. I trattamenti antiprotozoari utilizzati riducono l’eliminazione nell’ambiente di Atoxoplasma ma non arrivano efficacemente alle cellule (monociti e linfociti circolanti e macrofagi tissutali) che mantengono i parassiti in uno stato latente.
Alla terapia specifica, devono essere aggiunti integratori vitaminici e stimolanti del sistema immunitario, per rendere più forte l’organismo.
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Infiammazione dell’appendice in un coniglio
La stasi gastrointestinale nel coniglio è un sintomo di un problema esistente, non è la malattia. Le cause che possono provocare un rallentamento del transito possono essere molteplici, e tra queste c’è anche l’infiammazione dell’appendice.
Nei conigli l’apparato gastroenterico è composto da uno stomaco molto capiente con un cardias molto sviluppato e una regione pilorica.
Il piccolo intestino è diviso in duodeno, digiuno, ileo e in una porzione rotondeggiante caratteristica e unica, il sacculus rotundus. La parete di questa struttura è ricca di tessuto linfoide.
Il cieco del coniglio è molto capiente, (circa 10 volte la capienza dello stomaco) e rappresenta il 40% del tratto gastroenterico totale. Termina con l’appendice: una struttura a fondo cieco con una parete molto spessa che nei conigli giovani costituisce il sito di diversificazione degli anticorpi e nell’adulto ha una funzione secernente di acqua e bicarbonati, fondamentali per l’attività digestiva del cieco.
Il cieco si continua nel colon che emerge dall’ampulla coli e si divide in un colon prossimale e un colon distale separati da un piccolo segmento detto fusus coli che regola i movimenti dell’ingesta.
Tra tutti gli animali domestici, l’appendice è propria solamente del coniglio. Non è ancora noto il meccanismo che porta all’infiammazione di questa struttura, neanche nell’uomo. È comunque un’evenienza frequente, probabilmente ancora poco cercata e riconosciuta.
Cip è un coniglio giovane, portato in visita per un’anoressia che persiste da circa tre giorni. Alla visita clinica e alle rx si riscontra un rallentamento dello svuotamento gastrico e la presenza di meteorismo ciecale. Nonostante non manifesti sintomatologia algica, cip non ne vuole sapere di mangiare ed è ipertermico. Oltre alle radiografie sono stati effettuati anche degli esami del sangue, che, fatta eccezione per una leggera infiammazione, non mostrano grosse alterazioni.
Per cercare di capire meglio cosa sta provocando il rallentamento viene effettuata un’ecografia dell’addome: il quadro mostra una severa infiammazione dell’appendice.
In presenza di quadri simili le possibilità terapeutiche sono due:
1. intervenire chirurgicamente e rimuovere l’appendice
2. tentare di sfiammarla attraverso l’utilizzo di antibiotici e antiinfiammatori sistemici
purtroppo non si sa ancora quale sia la strada migliore e l’unico modo per cercare di prendere la decisione corretta è basarsi sulla clinica dell’animale.
Cip, nonostante l’anoressia appare vigile e attivo e si decide di continuare con la terapia medica
• Terapia antibiotica
• Fluido terapia endovenosa
• Analgesici
• Antiinfiammatori naturali
Dopo circa una settimana iniziano a comparire le prime palline e finalmente cip riprende a mangiare.
La terapia medica dell’appendice richiede sicuramente controlli ripetuti ecografici per monitorare lo stato dell’appendice stessa e tanta pazienza. In presenza di animali clinicamente attivi ritengo sia la scelta migliore. Ovviamente va valutata la compliance del proprietario nella gestione dell’animale.
RICORDATEVI CHE LA STASI GASTROINTESTIALE È UN SINTOMO, COMUNE A DIVERSE MALATTIE, MA NON È LA MALATTIA.
- Pubblicato il Blog, CASI CLINICI
Il mastocitoma nel furetto
E’ una comune patologia cutanea del furetto.
Di cosa si tratta?
Il mastocitoma cutaneo è la neoplasia del mastocita (ovvero una delle cellule coinvolte nei processi infiammatori).
ll processo infiammatorio è un meccanismo che l’organismo mette in atto per difendersi da qualsiasi stimolo esterno sgradito (virus, batteri, trauma fisico, ecc…). Si tratta di vere e proprie ‘’battaglie’’ atte ad eliminare l’ospite indesiderato o i suoi effetti (sicuramente chi ha una certa età ricorda il cartone “alla scoperta del corpo umano” che ben rappresentava l’idea di battaglia contro il nemico). Per adempiere a questo compito l’organismo si avvale di diversi ‘’soldati’’. Ognuno dei quali ha un preciso compito nel processo difensivo, e tra questi ci sono i mastociti.
Che cos’è, invece, una neoplasia:
la neoplasia, o tumore, è una malattia che si caratterizza per la moltiplicazione abnorme delle cellule di un particolare tessuto; le cellule sono come impazzite e perdono le loro caratteristiche di normalità acquisendo nuove caratteristiche e proprietà…come quella di invadere altri tessuti dando così origine alle metastasi. In base poi ai poteri che acquisisce potrà essere più o meno pericolosa (maligna).
Cosa possa generare la trasformazione del mastocita da buono a cattivo non si conosce ancora.
Si sa che il mastocitoma interessa per lo più soggetti adulti.
Come si presenta
Generalmente si presenta come una formazione nodulare leggermente rilevata e con contorni rossi. Dopo un prelievo o se stimolata può aumentare rapidamente di dimensioni (a causa dell’attivazione dei mastociti).
Rispetto al cane e al gatto dove il mastocitoma ha molto spesso dei caratteri di malignità, nel furetto, fortunatamente, è invasivo a livello locale ma raramente da metastasi ad altri organi. Questo significa che una volta asportato non c’è necessità di effettuare chemioterapia. Ovviamente può formarsi in altre sedi. Le sedi di localizzazione più frequenti sono il tronco e le estremità degli arti.
Nella maggioranza dei casi il nodulo rimane tale e può passare inosservato.
La diagnosi viene effettuata attraverso un esame citologico. Si consiglia sempre comunque di controllare ecograficamente la milza e il fegato cosi come i linfonodi interni…visto che nel furetto le disgrazie non vengono mai da sole.
La terapia è sicuramente chirurgica e prevede l’asportazione del nodulo in anestesia e l’esame istologico per la conferma diagnostica.
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Le malattie stagionali del furetto
Come le persone anche gli animali soffrono dei “malanni stagionali” legati al cambio di temperatura e agli sbalzi termici tra interno ed esterno della casa. Tutti gli animali soffrono il freddo, ovviamente non allo stesso modo, a seconda del tipo di pelliccia e all’attitudine di specie. Il rischio di ammalarsi durante l’inverno è maggiore per le caratteristiche climatiche del periodo e la tolleranza dell’animale a freddo e umidità.
In particolare i furetti, abituati a riposare immersi nel pile al calduccio (in realtà anche nel periodo estivo) risentono di questi cambiamenti e bisogna avere delle piccole accortezze in più soprattutto se si portano all’esterno.
Le malattie più comuni sono quelle legate all’apparato respiratorio:
• Raffreddori
• Tracheiti
• Bronchiti
• Polmoniti che, se non curate tempestivamente, possono avere gravi conseguenze sul nostro amico a quattro zampe
Sintomi a cui prestare attenzione
• Scolo nasale
• Scolo oculare
• Starnuti e tosse
• Febbre
• Inappetenza, anche solo per l’impossibilità di sentire gli odori.
• Abbattimento
Può manifestarsi anche una sintomatologia gastroenterica legata a un colpo di freddo o all’ingestione di neve per esempio caratterizzata da diarrea, vomito e gastrite con lambimento eccessivo del musetto.
Il furetto può essere abituato al freddo senza particolari problemi, purché si decida se vive in casa o all’esterno, sarà la folta pelliccia a proteggerlo dalle basse temperature.
Un furetto che vive in casa dovrà uscire in pieno inverno per brevi passeggiate e se le temperature esterne sono eccessivamente rigide o se per questioni di tempo può essere portato all’esterno solamente la sera abbiate cura di proteggerlo con dei vestiti. Lo sbalzo termico può essere “fatale” per le sue alte vie respiratorie. Altra piccola accortezza, se cambiate l’aria (cosa doverosa anche per una questione di salubrità) nella sua stanza, spostatelo in un’altra stanza per evitare un brusco sbalzo termico.
Il furetto è tra l’altro sensibile alle nostre forme virali provocanti l’influenza di stagione: fate attenzione e se notate inappetenza e forte abbattimento, viste le esigue dimensioni è indispensabile rivolgersi rapidamente al vostro veterinario che potrebbe ritenere necessario ricoverarlo per alcuni giorni per terapie appropriate. L’influenza può infatti mettere a rischio la vita di un furetto, in particolare un giovane o un anziano.
La corretta alimentazione
Porre attenzione all’alimentazione dei nostri animali domestici ne preserva la salute in qualunque stagione. Se fuori fa freddo e i nostri animali escono molto e giocano molto all’aperto, sarà necessario che abbiano un maggiore apporto energetico per mantenere costante la loro temperatura corporea. Aumentando l’apporto di grassi possiamo rendere il cibo più appetitoso e gli permettiamo di incamerare più energia. Inoltre gli acidi grassi vanno a contribuire alla crescita di un mantello folto, che permette dunque una maggiore protezione al freddo.
Se fuori è freddo è bene che l’acqua non sia fredda o ghiacciata, addirittura alle volte è meglio lasciargliela tiepida e controllate sempre che non si ghiacci e che sia sempre a disposizione. Anche se inverno l’acqua non deve mai mancare.
Attenzioneeeeeeeee: gli animali che vivono in appartamento invece, con temperatura temperata costante, non hanno bisogno di modifiche alla dieta. Stessa cosa anche per quegli animali che escono solo per la passeggiatina e per i bisogni. L’aumento dei grassi non farebbe altro che agevolare la trasformazione del furetto in una foca.
Cosa fare oltre che rivolgersi al veterinario di fiducia:
In caso di raffreddamenti come tracheiti e starnuti provate con aerosol con prodotti che aiutano a eliminare eventuali secrezioni, non antibiotici. Stessa cosa in caso di congiuntiviti è possibile usare dei prodotti decongestionanti locali a base per esempio di camomilla, prima di passare all’utilizzo di colliri antibiotici più forti. Con sintomi più importanti come tosse, abbattimento o anoressia, è meglio correre subito dal veterinario più vicino. In presenza di sintomi gastroenterici potete utilizzare dei fermenti e dei gastroprotettori in presenza di nausea.
Ancora
• In caso di temperature veramente rigide potete utilizzare delle creme protettive per le zampette. con le basse temperature infatti, la cute è più soggetta ad escoriazioni e tagli, dovuti al freddo. Come avviene per le nostre mani del resto. Una cute idratata e protetta è meno soggetta a tagli e ferite. In commercio esistono diversi prodotti formulati appositamente.
• Stimolatori del sistema immunitario
• Attenzione al liquido antigelo che mettete nel motore delle macchine: risulta altamente tossico e causa un danno renale mortale.
Durante l’autunno e l’iverno con la riduzione delle ore di luce si può assistere ad una ricrescita del pelo in soggetti che soffrono di una fase iniziale di malattia surrenalica; ciò è dovuto ad un aumento endogeno della produzione della melatonina. fate attenzione anche a questo che potrebbe mascherare dei sintomi iniziali di un problema che può invece diventare molto serio.
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L’alimentazione del ratto domestico
Una dieta sana ed equilibrata è fondamentale per ridurre l’insorgenza di molte problematiche e aumentare le aspettative di vita. Questo vale in generale per tutti gli animali.
Il ratto è un animale onnivoro, per essere alimentato correttamente necessita sia di alimenti di origine vegetale sia animale. È fondamentale offrire un giusto apporto di vitamine, minerali (che provengono da frutta e verdura) e di proteine (sia animali che vegetali appunto).
La base della sua alimentazione deve essere un buon pellet adeguatamente formulato. In commercio si trovano moltissime marche per ratti e in generale per roditori ma non tutti sono adeguati. Una dieta corretta richiede circa il 20% di proteine e il 5% di grassi. Ovviamente l’apporto proteico e di grassi varia in funzione dell’età dell’animale, cosi come variano le necessità metaboliche. Animali più giovani o femmine in gravidanza avranno esigenze diverse rispetto ad un ratto adulto. Nei piccoli ratti possiamo anche salire con la concentrazione di proteine al 20\25%, nelle femmine gravide possiamo anche aumentare il tenore di grassi. È indispensabile non scendere mai sotto il 15% di proteine in ogni caso, anche nell’animale anziano.
Per capire la qualità del pelettato bisogna imparare a leggere l’etichetta dell’alimento e il tenore analitico di quello che sto somministrando, senza scegliere in base al packaging. Attenzione anche alla fonte di carboidrati. Miscele composte da tanti cereali, semi e fioccati sono da escludere a priori; la presenza della soia sembra invece essere un punto a favore del nostro palettato. In Italia le marche migliori sono sicuramente la Oxbow (che differenzia anche i prodotti in base all’età dell’animale), la Bunny e la Verselelaga.
Il ratto, diversamente da altri animali, non ha la colecisti. La colecisti è una sacca che funge da riserva di acidi biliari che sono indispensabili per la digestione dei grassi: mai eccedere con i grassi!!
Vitamine: Per fornire abbastanza vitamine al proprio peloso basta integrare giornalmente con verdura e frutta fresche.
Inoltre i ratti a differenza di altri animali come l’uomo o le cavie, sono in grado di produrre e conservare la vitamina C, quindi non è richiesta un’assunzione giornaliera. Minerali: anche i minerali sono indispensabili per un corretto accrescimento e sviluppo corporeo; calcio fosforo, magnesio devono essere apportati in modo equilibrato perché sia la carenza che l’eccesso possono provocare seri problemi. È per questo motivo che un ‘alimentazione casalinga è difficile da formulare (bisognerebbe rivolgersi ad un nutrizionista esperto in questi animali) ed è meglio costituire una dieta basata su un buon pellet, alla quale andrò poi ad integrare tutto il resto.
L’acqua deve sempre essere presente, meglio utilizzare ciotole.
Fate attenzione alla selezione del cibo, fornite solamente la quantità che riesce a mangiare nelle 24 ore per evitare che la porzione fresca deteriori. Possibilmente utilizzate ciotole diverse per il cibo secco e quello fresco e non esagerate mai con la razione per evitare problemi di obesità.
Gli alimenti ad alto contenuto di grassi e / o zuccheri dovrebbero essere usati solo come prelibatezze occasionali o ricompense per l’allenamento e non dovrebbero costituire il loro cibo normale.
Comportamento alimentare:
i ratti sono neo fobici: ciò significa che prima di mangiare un cibo nuovo, per quanto buono e allettante, lo assaggiano in piccolissima quantità, e solo dopo che hanno constatato che non gli fa male, lo mangiano.
Questa caratteristica è dovuta proprio alla loro capacità di adattamento: potendo mangiare quasi tutto, hanno sviluppato un sistema che gli permette di diminuire il rischio di rimanere avvelenati. Per fargli mangiare subito un nuovo cibo, se lo avete da un po’ e vi riconosce come parte del suo “clan”, potete fargli vedere che quel cibo vi piace molto: sgranocchiatene un pezzetto, dando evidenti segni di gustarlo, e poi offritene al ratto, possibilmente dallo stesso pezzo che avete assaggiato.
I ratti imparano moltissimo dai propri compagni, in particolar modo da quelli che riconoscono come superiori nella gerarchia. Sono animali estremamente sociali.
La ricerca del cibo e il “fare scorta” sono comportamenti naturali per i ratti, e andrebbero assecondati, cosi come la manipolazione stessa del cibo:
- Mettete a disposizione una varietà di opzioni alimentari appropriate, in modo che abbiano il controllo sulla loro scelta alimentare. Questo è molto importante perché i ratti spesso sviluppano preferenze individuali per cibi particolari.
- Spargete alimenti intorno alla loro gabbia (per stimolare la ricerca);
- Nascondete gli alimenti. I ratti scavano volentieri in vassoi di sabbia / ghiaia o masticano tubi di cartone per trovare cibi preferiti nascosti;
- Di tanto in tanto fornite semi (ad es. Girasole), frutta secca (ad es. Arachidi) per consentire loro di manipolare il cibo con le zampe mentre mangiano;
- Somministra cibo intero per aiutarli e stimolarli ad apprendere (un uovo sodo non sbucciato raffreddato per esempio, o un’arachide tostata non sbucciata)
- Fornire sempre un arricchimento alimentare come parte della loro razione giornaliera di cibo, e non in aggiunta ad essa.
- Fornire sempre più risorse di cibo (inteso come gioco edibile) piuttosto che uno solo per un gruppo di ratti, questo aiuterà a evitare la competizione.
Cosa possono mangiare:
- Frutta : la frutta molto dolce va somministrata in piccole quantità per evitare iperingrassamento.
– Albicocca (senza nocciolo)
– Ananas
– Arancia (in piccole quantità)
– Avocado (in piccole quantità): indispensabile ricordarsi che la buccia, la parte della polpa intorno al seme e il seme sono altamente tossici, quindi da evitare; la polpa invece contiene numerose proprietà e può essere somministrata
– Banane
– Ciliegie (senza nocciolo)
– Cocomero (anche con semi)
– Caco (ben maturo e in piccole quantità)
– Cocco
– Fragole e fragoline di bosco
– Kiwi
– Lampone
– Mandarino (in piccole quantità)
– Mela: i semi della mela andrebbero tolti perché contengono un derivato del cianuro che potrebbe causare problemi se assunto in grande quantità
– Melograno
– Melone
– Mirtilli
– Pera
– Pesca (senza nocciolo)
– Prugna (senza nocciolo e in piccole quantità)
– Uva - Verdure: in genere tutta la verdura in foglia, come anche l’erba vanno bene
– Broccoli (crudi e cotti in piccoli quantità)
– Carote (non tante perché hanno un effetto lassativo)
– Cetriolo
– Cavolo cappuccio, cavolini di Bruxelles, cavolo rosso (da evitare perché può provocare gonfiore addominale)
– Cavolfiore (cotto, in piccole quantità)
– Finocchio
– Insalata (lattuga, rucola, spinaci, valeriana, radicchio ecc.)
– Patate (solo lesse, raramente)
– Radicchio
– Zucchine
– Zucca - Latticini sarebbero da evitare
- Proteine:Carne bollita di pollo, tacchino o manzo (parti magre).Possono essere somministrati anche insetti e uova
- Frutta secca e semi (da dare raramente come premio e in piccole quantità!):
– Uvetta
– Noce
– Nocciola
– Pinoli
– Semi di girasole
– Semi di zucca (non salate)
Non possono mangiare:
- Banane verdi (non mature)
- Patate verdi
- Semi di papavero: possono creare un danno neurologico anche grave
- Bibite gasate: non possono vomitare ed espellere i gas dalla bocca; tutto il gas delle bevande gassate provoca meteorismo e fermentazioni addominali
- Il sedano è molto fibroso e si rischia il soffocamento
- Le barbabietole sono ricche in ossalato di calcio che può predisporre all’insorgenza di calcoli: dare con moderazione; sono anche ricche in nitrati che favoriscono l’insorgenza di alcune forme tumorali (anche gli spinaci e le cime di rapa sembra contengano un’eccessiva concentrazione di nitrati)
- Cioccolato
- Mais secco: rischio che contenga funghi o altre sostanze tossiche
- Insetti selvatici: rischio di parassitosi
- Melanzana
- Liquirizia: sembra possa essere neurotossica
- Agrumi: nei vari forum trovate delle informazioni discordanti sulla possibilità di insorgenza di forme tumorali nel ratto maschio in seguito all’assunzione di agrumi. In realtà la sostanza tossica è il d-limonene sostanza chimica presente nell’olio della scorza; l’abuso di succo di limone e quindi dell’involontaria ingestione del d- limonene provochi un accumulo di una proteina a livello renale presente solamente nei maschi che predispone all’insorgenza di malattia renale. La polpa del limone e in genere degli agrumi non è assolutamente dannosa.
Non somministrare crudi
- I carciofi che contengono delle sostanze in grado di rallentare o ostacolare la digestione di altri nutrienti.
- I cavoletti di Bruxelles che contengono un anti-nutriente in grado di inibire la Tiamina.
- I fagioli secchi
- Le cipolle, meglio evitarle anche cotte (cosi come tutti i suoi simili come porri cipollotti…)
- Le arachidi: in commercio trovate solamente quelle tostate che invece vanno
- Il cavolo rosso
- La patata dolce cruda. una volta cotta la patata può essere somministrata senza problemi.
Esempio di pasto: vige sempre la regola del buon senso; fornite alimenti di qualità senza esagerare con i premi e le leccornie che potrebbero causare problemi di iperingrassamento.
Colazione
Un piccolo pezzo di frutta condito con mezzo cucchiaino di miscela di cereali fatta in casa. I frutti particolarmente apprezzati dai topi sono le banane, i mirtilli e l’uva. Altri frutti buoni per i ratti includono meloni, mele, prugne e kiwi
Granola home made
4 cucchiaini di semi di girasole crudi sgusciati
1 cucchiaio di semi di lino
3 cucchiai di fiocchi d’avena crudi
4 cucchiaini di miglio
4 cucchiai di germe di grano tostato
2 cucchiai di cucchiaino alimentare in fiocchi
2 cucchiai di semi di zucca crudi
1 cucchiaio di semi di canapa
1 cucchiaio di semi di Chia
Cena
Un piccolo pasto tipo insalata che include sempre broccoli, cavolo riccio così come altre verdure e fagioli o tofu.
Ovviamente a disposizione per tutto l’arco della giornata un pellet di buona qualità.
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