L’ISA BROWN
L’ISA Brown, è la gallina ovaiola (ibrida) più comune e più conosciuta. Tra tutte le specie è sicuramente quella piu diffusa nei pollai, anche in virtu della sua capacità come produttrice di uova. La media è di circa 300 uova all’anno, di grandezza media e colore del guscio marroncino chiaro.
Viene definita un ibrido, in quanto è stata creata appositamente mediante incroci per ottenere una super depositrice, cosa questa che però in vecchiaia può generare seri problemi all’apparato riproduttivo.
Sono animali creati appositamente a scopo produttivo e sono impiegate in Italia negli allevamenti intensivi. E’ praticamente quasi impossibile trovare un gallo, in quanto i maschi, inutili da un punto di vista di profitto commerciale, sono purtroppo eliminati.
Perche questo nome:
ISA sta per Institut de Sélection Animale, la società che ha sviluppato e dato origine a questo incrocio nel 1978, specificatamente per la produzione di uova in batteria.
Caratteristiche
La gallina ISA Brown ha un carattere docilissimo e amorevole, e se trattata come tale, può diventare un fantastico animale da compagnia. E’ adatta per l’allevamento in cortile in piccoli pollai familiari e per stare con i bambini.
Da un punto di vista fisico è una gallina di media corporatura (raggiunge circa i 2,5 kg), ha un piumaggio di un colore marrone chiaro, un corpo rettangolare e la coda tenuta leggermente all’in su (con presenza spesso di penne bianche). Gli occhi variano dal giallo al rosso.
Ha un dimorfismo sessuale importante: i pulcini bianchi sono maschi mentre le femmine sono marrone chiaro. E’ una gallina che resiste abbastanza bene anche agli inverni rigidi.
La produttività è molto elevata, cessano la deposizione solamente quando sono in muta.
Per sostenere fisicamente una simile attività di produzione, si consiglia di utilizzare un mangime piu proteico(18%)da aggiungere al razzolamento quotidiano, assicurandosi anche che non venga mai a mancare il grit o una adeguata fonte di calcio per evitare il rischio di incorrere in una condizione di ipocalcemia.
- Pubblicato il Blog, Senza categoria
Il terzo occhio dei rettili
I rettili costituiscono una classe molto eterogenea suddivisa in tre ordini
- Testudines o chelonia con circa 330 specie
- Squamata (circa 9400 specie) suddiviso a sua volta nei sottordini
- Ophidia (serpentes)
- Sauria
- Sphenodontia o Rincocephalia al quale appartengono due specie il tuatara comune e quello puntato, entrambi a rischio di estinzione.
L’occhio parietale, o terzo occhio
L’occhio parietale, organo parietale, terzo occhio o occhio pineale è una peculiarità anatomo-funzionale unica dei rettili e di alcuni anfibi, in particolare tra gli appartenenti all’ordine Squamata, di alcuni rappresentanti dei sauri (varani, iguanidi,alcuni agamidi e alcuni scinchi), e nell’ordine rincocephalia (tuatara).E’ assente completamente, invece, nei Loricata (crocodylia). Si tratta di un occhio primitivo, perché privo della maggior parte delle prerogative anatomo-funzionali di un vero occhio. E’ una piccola area sulla superficie della testa composta di cellule fotosensibili, che non serve per vedere, ma assolve altre funzioni specialmente legate alla regolazione dei cicli circadiani, di alternanza fra veglia e sonno.
Anatomicamente è localizzato in prossimità della superficie sul forame parietale, un foro sulla linea mediana del cranio delimitato dalle due ossa parietali. Lo strato superficiale è una placca cutanea che secondo la specie puo essere più o meno rilevata. È una struttura neurosensoriale connessa all’epifisi, dotato di fotorecettori molto prominenti, una retina primitiva e una struttura sferoidale simile al cristallino (anch’essa molto primitiva). Sono assenti completamente le palpebre, l’iride e i muscoli extraoculari.
Funzioni:
- Regola, inibendola, l’attività secretoria neuroendocrina della ghiandola pineale. Al crepuscolo è inattivato e si ha una maggior produzione di melatonina e serotonina. E’ in grado di localizzare la luce e discriminarne le lunghezze d’onda, interagendo quindi con la regolazione dei ritmi circadiani tra sonno e veglia.
- Sembra essere coinvolto anche nell’orientamento.
- Pubblicato il Senza categoria
Ambystoma mexicanum o Axolotl
Ordine: Caudata
Famiglia: Ambystomatidae
Il suo nome risale al popolo azteco e alla loro lingua: il nahuatl.
Essi lo identificarono con il dio Xolotl (dio della morte e dei fulmini), ogni notte, Xolotl proteggeva il sole quando esso calava nel mondo degli inferi.
Fu una vittima predestinata, secondo la leggenda, di un sacrificio da parte degli altri dei. Il dio visse una serie di trasformazioni, mimetizzandosi fra mondo terrestre e mondo acquatico.
Vinicio E. Morales, nel suo libro “Miti Maya e Aztechi” scrive : “Quando fu il suo turno di morire, prese la fuga e si nascose in un campo di mais ove si trasformò in una pianta dal doppio gambo – motivo per cui il contadino lo chiamò Xolotl, ma venne scoperto tra le piante. Allora scappò per la seconda volta, si nascose tra le agavi e si trasformò un’agave dal doppio gambo, che per questo viene detta Mexolotl. Venne nuovamente scoperto e fuggì, questa volta in acqua, ove si tramutò in pesce, che per questo si chiama Axolotl.”
Metamorfosi, neotenia e rigenerazione: il segreto di una lunga vita (anche se poi ci pensa l’uomo a distruggerla).
Una delle caratteristiche che lo ha reso famoso è la Neotenia, ossia la capacita di diventare adulto senza trasformarsi in un animale terrestre. Come tutti gli anfibi è in grado di metamorfosare trasformandosi da animale acquatico con le branchie in animale terrestre con i polmoni. Rispetto agli altri è tuttavia in grado di decidere se trasformarsi in salamandra o restare girino per sempre: può trascorrere la propria intera vita come animale acquatico completamente immerso, respirando come un pesce grazie a delle branchie esterne molto sviluppate.
Questo ovviamente dipende dalle condizioni ambientali esterne e si tratta di un adattamento per garantire la sopravvivenza: sovrappopolamento, penuria d’acqua, scarsità di ossigeno sono tutte condizioni che lo spingono a metamorfosare. Sperimentalmente, si può indurre la metamorfosi negli axolotl con la somministrazione di iodio, che serve a produrre gli ormoni tiroidei; in tal caso si trasformano in salamandre adulte, con vita terrestre. Una volta compiuta la muta, la longevità dell’animale si riduce notevolmente.
Altra caratteristica da “stregone”è la sua capacità di rigenerare tessuti: se perde un arto è in grado di rigenerarlo. Questa sua capacità è oggetto ancor oggi di numerosi studi.
Origine
L’Ambystoma mexicanum è originario del lago di Xochimilco, a sud di Città del Messico. In natura è quasi estinto. L’habitat naturale è costituito da corsi e specchi d’acqua più o meno profondi e ricchi di vegetazione, ma caratterizzati dalla totale assenza di corrente.
Caratteristiche fisiche
La lunghezza media è di 23 cm, ma può variare da 15 a 45. Ha delle branchie esterne dall’aspetto piumato tipiche delle larve di salamandra, con le quali assorbe l’ossigeno disciolto nell’acqua, ma possiede anche polmoni e può quindi respirare aria atmosferica, emergendo in superficie. Gli arti, relativamente piccoli, sono utilizzati per camminare sul fondo. La coda è lunga e appiattita in senso laterale ed è utilizzata nel nuoto. La bocca possiede denti rudimentali, utilizzati per trattenere la preda e non per la masticazione. I colori originari sono marrone con macchie scure e nero; in cattività sono state sviluppate due mutazioni di colore, albina (dorato o rosa chiaro, con occhi rosa) e leucistica (rosa chiaro con occhi neri). In cattività vive circa 10-15 anni e alcuni soggetti possono superare i 20 anni.
Riproduzione
Gli axolotl raggiungono la maturità sessuale tra i 6 e i 18 mesi. Normalmente si sviluppano prima i maschi e poi le femmine e la determinazione dei sessi non crea grandi difficoltà in quanto la femmina è più grande con ventre prominente e tondeggiante, mentre il maschio è più piccolo e snello e presenta il classico rigonfiamento cloacale nella parte ventrale. Dopo la danza di corteggiamento il maschio depone delle capsule gelatinose contenente lo sperma, dette spermatofore, che la femmina raccoglie con la cloaca e conserva nel suo corpo, per la fecondazione interna delle uova che sono deposte 24 ore dopo. Le uova (in media circa 200) sono deposte su un substrato, cui aderiscono grazie al muco con cui sono avvolte, e schiudono in 2-3 settimane. I piccoli alla nascita misurano 1,5 cm; inizialmente possono essere alimentati con prede vive di piccolissima taglia come Daphnia e Artemia.
Alloggio
La vasca adatta a ospitare gli Axolotl (animale completamente acquatico) è un semplice acquario dalla capienza minima di 40-50 l. Un tale contenitore è adatto all’allevamento di due adulti, mentre per animali giovani, di non più di otto mesi d’età, è sufficiente una vasca da 20 l. Per tenere più esemplari, bisogna calcolare almeno altri 20 l per ogni altra coppia di adulti.
La convivenza di più animali nello stesso acquario può tuttavia originare fenomeni di cannibalismo, e non è opportuno tenere animali a differenti stadi di crescita nello stesso contenitore per lo stesso motivo.
Fluttuazioni repentine della temperatura anche di pochi gradi sono dannose, pertanto si deve cercare di mantenere una temperatura costante, anche tra giorno e notte.
La vasca può essere decorata con piante (vere o artificiali), piccole grotte costruite con rocce, legni. Non sono necessari particolari tipi di lampade, salvo che non si vogliano far crescere piante nella vasca.
Gli Axolotl sono animali essenzialmente notturni, e sono disturbati dalla luce solare diretta. Per il fondo è bene evitare l’uso del classico ghiaietto siliceo a grana fine, che potrebbe essere involontariamente inghiottito da questi anfibi, provocando loro seri danni all’apparato digerente. Consigliamo invece l’uso di sabbia a grana grossa, rocce o lastre di travertino, facendo attenzione a creare ampie zone di vasca libere per il nuoto.
L’acqua
La maggior parte degli anfibi può vivere a un pH compreso fra 6.5 e 8.5. Nel caso degli Axolotl il valore ottimale è 7-7.2. La temperatura consigliata è nell’intervallo 16-20 °C. Una temperatura troppo bassa può bloccare il processo digestivo del cibo che, in casi limite, viene rigurgitato. Una temperatura troppo alta impedisce all’ossigeno di disciogliersi e potrebbe indurre la metamorfosi. Viste le abbondanti deiezioni, il sistema di filtraggio deve essere ottimale e non creare vortici troppo violenti che disturberebbero l’animale. In assenza di un sistema di filtraggio adeguato è opportuno cambiare l’acqua molto spesso.
In ogni caso, il campanello d’allarme per le non ideali condizioni chimiche dell’acquario lo forniscono gli animali stessi che, se in difficoltà, nuotano frequentemente nelle vicinanze della superficie per ingoiare aria, incapaci di procurarsi una sufficiente quantità di ossigeno disciolto tramite le sole branchie esterne.
L’alimentazione
Questi anfibi accettano sia cibo vivo sia mangime; l’alimentazione si basa sulla somministrazione di pellet per trote o per salmoni, lombrichi, larve di chironomidi, Daphnia, camole del miele e pesciolini.
L’Axolotl è predatore di vermi, molluschi, piccoli invertebrati. In acquario si può nutrire con Daphnia, con mangime in stick o pastiglie per pesci di fondo carnivori o onnivori. Va evitato il mangime per pesci algivori, troppo ricco di vegetali. L’A. gradisce molto le prede vive: guppy e altri piccoli pesci, lumache, larve e lombrichi, ma in realtà può attaccare qualsiasi animale di dimensioni tali da entrare nella sua grande bocca. Il nome Ambystoma significa, infatti, proprio “bocca a coppa”.
Dato che si tratta di Anfibi piuttosto voraci, il fatto che non si alimentino per diversi giorni indica uno stato di sofferenza dell’animale. In questo caso vanno verificati i valori chimico-fisici dell’acqua e la temperatura.
La metamorfosi
La metamorfosi negli Anfibi è determinata dall’ipofisi, che governa il funzionamento della tiroide, che a sua volta produce un ormone chiamato tiroxina.
Sintomi d’incipiente metamorfosi in acquario sono inappetenza e ipersensibilità agli stimoli esterni.
In condizioni ‘normali’ la metamorfosi dell’Axolotl non avviene quasi mai.
Allevamento in laghetto
Un’alternativa all’allevamento in acquario è rappresentata dal laghetto: questi animali si adattano tranquillamente al clima di buona parte delle regioni italiane, anche con temperature vicine allo zero.
Per l’allevamento all’aperto di Anfibi è sempre necessario predisporre un’adeguata recinzione, per evitare che essi diventino prede di cani, gatti, serpenti, ratti e altri predatori.
Se la vasca in esterno è abbastanza ampia e non sovrappopolata, gli Axolotl possono essere nutriti solo saltuariamente con vermi o piccoli pesci.
Uno strato di foglie morte sul fondo permetterà loro non solo di sfuggire alla luce troppo intensa, ma anche di ripararsi in caso di abbassamento eccessivo della temperatura dell’acqua, cadendo in uno stato di semi-ibernazione.
Analogamente, nella stagione estiva gli animali possono mostrare un breve periodo di estivazione, con riduzione dell’attività motoria e alimentare.
Legislazione
L’Axolotl oggi rasenta l’estinzione, l’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) lo ha dichiarato ufficialmente specie criticamente minacciata, a causa dell’inquinamento e dell’essiccamento del suo habitat naturale, e della pesca eccessiva.
L’axolotl è in Appendice II CITES, pertanto all’acquisto il negoziante deve rilasciare un certificato che ne attesti l’origine legale. Tutti gli axolotl in vendita sono comunque riprodotti in cattività e non prelevati in natura.
Colorazioni principali
Ancestrale
Questo axolotl è il colore naturale presente in natura.
È una combinazione di nero, verde e marrone e presenta macchioline di pigmenti iridofori oro lucido.
Gli ancestrali non sono tutti esattamente dello stesso colore; alcuni possono essere più chiari o più scuri di altri.
Hanno occhi molto scuri con un anello dorato intorno alla pupilla.
Le branchie sono di colore viola e grigio.
Leucistic
Gli axolotl leucistici sono di colore rosa e bianco e talvolta presentano segni neri sulla schiena.
Gli occhi sono blu o neri e le branchie, rosse. Possono presentare lentiggini diffuse
Leucistic macchiato
Gli axolotl leucistici macchiati sono molto simili ai leucistic, ma hanno molte più lentiggini nere sul viso e sulla parte superiore del corpo.
La quantità di lentiggini varia da leggera a pesante e può aumentare o diminuire con la crescita dell’axolotl.
Sorprendentemente, se tenuto in una vasca con un substrato scuro, diventerà più scuro, mentre se il substrato è di colore chiaro, il colore nero diventerà meno pronunciato e potrebbe persino scomparire completamente.
Albino bianco
Il corpo è di solito bianco, sebbene possa essere una delicata tonalità di rosa.
Gli occhi sono chiari o rossi e le branchie sono rosse. Raggiunta la maturita sessuale le dita diventano scure.
Melanoide nero
Il axolotl melanoide è molto simile all’ancestrale in quanto è scuro.
Tuttavia, poiché ha una grande quantità di pigmento scuro, non è affatto lucido né presenta un anello lucido intorno agli occhi.
La pancia è di colore più chiaro.
I melanoidi non hanno mai chiazze brillanti.
Anche in questo caso a seconda del tipo di fondale possono assumere delle gradazioni piu chiare o piu scure. Unavolta raggiunta la maturita diventano neri e non cambiano piu colore.
Golden Albino
L’albino dorato è, come suggerisce il nome, giallo.
- Pubblicato il Blog, Senza categoria
Il Clamidosauro
Il Clamidosauro (Clamydosaurus Kingii) è un sauro carnivoro originario dell’Australia settentrionale e della Nuova Guinea. Alcuni esemplari si trovano anche nelle regioni desertiche più a sud d’Australia.
Detto anche il “sauro dal mantello”, appartiene alla famiglia degli agamidi (diversamente dai gechi e dagli scinchi, altre famiglie di sauri, gli agamidi non sono in grado di rigenerare la coda una volta persa) e presenta come carattere distintivo un “collare” che utilizza sia come mezzo di comunicazione sia come strumento di difesa.
Il nome deriva dal caratteristico collare: Clamide. La clamide era, nell’antichità greco romana un tipo di mantello corto e leggero, spesso orlato d’oro, che veniva utilizzato per cavalcare specialmente dai viandanti. Il collare di questo sauro, per le sue caratteristiche assomiglia a questo indumento e da qui il suo nome.
Habitat in natura
Predilige un ambiente umido caratterizzato dalla presenza di molta vegetazione; grazie alla sua struttura anatomica molto sinuosa e alle sue zampe posteriori molto lunghe riesce, infatti, a districarsi tra la vegetazione e a saltare agilmente tra i rami dove trascorre, tutto il tempo, scendendo a terra esclusivamente alla ricerca di cibo o per risolvere conflitti territoriali.
Descrizione
Il clamidosauro raggiunge delle dimensioni abbastanza notevoli: circa 85 cm di lunghezza (il maschio è più grande rispetto alla femmina). Oltre al collare, un altro carattere distintivo è la locomozione bipede che gli permette di districarsi più rapidamente tra la folta vegetazione del territorio d’origine.
La colorazione di base è marrone\grigio con venature di colore diverso simili alla variegatura della corteccia di un albero. Non ci sono dei colori standard e, come testimonianza dell’adattamento alla regione di origine, secondo le caratteristiche del territorio può assumere delle varianti più chiare o brillanti (quelli che originano da zone più secche avranno dei colori tendenzialmente aranciati, rossastri e marrone, quelli originari da zone tropicali più marrone grigie).
Riproduzione e dimorfismo sessuale
Il dimorfismo sessuale è marcato:
- Il maschio è generalmente più grande della femmina
- La clamide è molto più sviluppata nel maschio (viene infatti utilizzata durante il corteggiamento)
- I pori femorali sono più grandi nel maschio e durante la stagione riproduttiva producono una secrezione odorosa.
- Presenza di due rigonfiamenti alla base della coda: gli emipeni.
La femmina depone un numero di 6-25 uova in un nido 5-20 cm sotto terra in zone soleggiate. La stagione riproduttiva è la stagione umida che va da novembre a marzo. L’incubazione dura due o tre mesi. Il sesso del nascituro è in parte determinato dalla temperatura, le temperature estreme producono esclusivamente femmine e quelle intermedie (29-35 C°) producono un numero uguale di maschi e femmine. Le loro uova sono a guscio molle.
Aspettative di vita
Una volta che si è riusciti a ricreare l’habitat l’aspettativa di vita può essere anche di 10 anni.
Abitudini
Si tratta di un animale diurno, che passa la maggior parte del tempo sugli alberi, scendendo a terra solamente per alimentarsi. Predilige la stagione delle piogge e diminuisce la sua attività durante la stagione secca (diminuisce del 70% la sua attività metabolica: va in estivazione). Molto spesso si nasconde dai suoi predatori tra la vegetazione. Solamente se colto di sorpresa assume il suo tipico atteggiamento da combattimento.
Alimentazione in natura
E’ un sauro carnivoro, in natura si nutre di cicale, termiti, scarafaggi, larve di falene e farfalle. Anche se gli insetti costituiscono la fonte primaria di cibo, saltuariamente si cibano anche di ragni e di sauri di dimensioni inferiori. Si tratta di animali molto voraci “di bocca buona”.
Tecniche di difesa
Per difendersi dai predatori usa diverse tecniche, tra le quali il dispiegamento della clamide e il conseguente spalancamento della bocca, al fine di spaventare l’avversario; in caso di estremo pericolo non esita ad attaccare, rimanendo spesso in posizione eretta, emettendo suoni simili a sibili in segno di minaccia e spesso tenendo sollevata la coda. In caso venga attaccato, o attacchi, solitamente entra in contatto con l’avversario utilizzando come armi le zampe.
Durante la manipolazione, quindi, attenzione ai morsi (presenza di canini), alla mandibola possente,ai lunghi artigli e alla coda che vengono utilizzati come arma.
Stabulazione:
- Temperatura: è necessario creare all’interno del terrario un gradiente di temperatura in modo che il rettile possa scegliere dove stare. Nel punto più caldo la temperatura dovrebbe essere attorno ai 35\38 gradi, mentre nel punto più basso 24\27 gradi. Ricordatevi sempre di proteggere le lampade in modo da evitare ustioni. Il valore della temperatura deve essere oggettivo: misuratelo con dei termometri appositi.
- Ventilazione: la ventilazione rappresenta sempre un punto critico; da un lato le correnti d’aria fredda possono causare l’insorgenza di gravi forme respiratorie, dall’altro una ventilazione troppo scarsa può portare al surriscaldamento del terrario. La ventilazione è fondamentale anche per il controllo dell’umidità che se troppo elevata può favorire lo sviluppo di muffe e batteri (come una temperatura inadeguata). È necessario che la ventilazione sia posta sulla parete posteriore non sulla parte superiore del terrario per evitare contestualmente la dispersione del calore.
- L’umidità deve essere intorno al 50\70%; un’umidità eccessiva può determinare l’insorgenza di problemi respiratori.
- Illuminazione: sono necessarie lampade UVB 10 e UVA per il metabolismo del calcio e il benessere dell’animale. Tutte le lampade vanno cambiate ogni 6 mesi per mantenere la loro funzionalità. Il fotoperiodo con le variazioni stagionali è fondamentale per il funzionamento fisiologico e per stimolare l’attività riproduttiva del rettile.
- Terrario: Le dimensioni minime sono: 238 cm L x 238 cm W x 240 cm H; queste dimensioni sono le minime per garantire un certo grado di benessere all’animale; ovviamente vanno aumentate di almeno il 20% se si vuole aggiungere un altro esemplare. Come substrato si possono utilizzare molti materiali, evitate quelli composti di particelle piccole che potrebbero essere ingerite accidentalmente durante l’alimentazione soprattutto dai soggetti giovani. La carta di giornale anche se poco estetica è quella che garantisce meno problemi. E’ fondamentale cercare di rispettare, per quanto possibile, l’habitat e le abitudini del suo ambiente naturale: garantire la possibilità di effettuare il basking in alto, aggiungendo dei rami in cui possa sostare e dei nascondigli sul fondo del terrario che simulano la vegetazione originale sono il minimo delle accortezze che si dovrebbero avere.
- Alimentazione: prevalentemente a base d’insetti; nell’adulto il cibo andrebbe fornito tre volte la settimana, mentre nei giovani in crescita anche ogni giorno. In natura sono cacciatori passivi. Aspettano pazientemente la preda. Cercate di “nascondere” la preda in un contenitore e non lasciarla libera nel terrario con la possibilità che non venga mangiata e rimanga nell’ambiente.
- La pulizia è fondamentale per evitare la proliferazione di batteri (ricordiamoci che l’umidità è elevata); rimuovere anche le feci.
- Come per la maggior parte dei rettili è bene offrire pasti addizionati con calcio: ben alimentare le prede.
- In commercio ci sono dei prodotti gia addizionati.
- L’acqua deve sempre essere lasciata a disposizione e l’ambiente va adeguatamente nebulizzato. Un paio di volte alla settimana lasciare a disposizione un grosso piatto con dell’ acqua.
La clamide
La caratteristica distintiva del clamidosauro è la clamide, ovvero la porzione anatomica che cinge il suo collo. E’ una struttura estremamente affascinante se si pensa che è accessoria. Ci sono degli articoli scientifici che ne studiano le caratteristiche anatomiche e la fisiologia, compresi gli adattamenti evolutivi delle strutture anatomiche che lo sorreggono rispetto alla stessa porzione in altri membri della famiglia degli agamidi. La clamide è supportata da delle bande cartilaginee connesse all’osso della mandibola (Sembra non essere in grado di allargare la clamide senza aprire contestualmente la sua bocca). Quando il sauro è spaventato, mette in scena uno “spettacolo” per spaventare l’avversario: spalanca la bocca esponendo il rosa giallo del pavimento orale che contrasta con il rosso della clamide che si apre contemporaneamente. In condizioni fisiologiche la clamide giace come un mantello lungo il corpo, mentre lo apre per rendersi più minaccioso di fronte a nemici, o per apparire piu vistoso durante il corteggiamento. Questo collare si caratterizza per un colorito molto vivo, vicino al rosso per i numerosi vasi sanguigni che lo attraversano (servono anche come meccanismo di termoregolazione). Specialmente negli esemplari maschi,può avere colori che virano al giallo arancio, al rosso o al marrone.
- Pubblicato il Blog, Senza categoria
LA MALOCCLUSIONE DEGLI INCISIVI NEL CONIGLIO
Per malocclusione, come indica il termine stesso, si intende un alterato piano di chiusura tra gli incisivi superiori e gli incisivi inferiori (gli incisivi superiori possono essere più indietro o più avanti degli incisivi inferiori).
In condizioni di normalità gli incisivi inferiori dovrebbero incastrarsi tra il piano che si viene a creare tra gli incisivi superiori e gli incisivi accessori, se questo non si verifica, essendo come tutti noi sappiamo i denti del coniglio a crescita continua (cioè denti che continuano a crescere per tutta la sua vita) non viene garantito un corretto consumo del dente e questo di conseguenza determinerà una sovra crescita dello stesso. La crescita può avvenire verso l’esterno, senza conseguenze gravi, oppure verso l’interno; in quest’ultimo caso il dente crescerà provocando danni alla mucosa buccale e al palato stesso. In entrambi i casi il coniglio sarà impossibilitato a nutrirsi in modo corretto e, alterando il sistema masticatorio, provocherà, alla lunga un alterato consumo anche dei denti molari provocando una mal occlusione anche di questi ultimi. Il coniglio molto spesso ha difficoltà a tenersi pulito mostrando condizioni scadenti anche del mantello.
Quasi sempre si tratta di un difetto genetico (ereditario), presente fin dalla nascita e che si manifesta precocemente. Può anche essere secondario a traumi o alla malocclusione dei molariformi. Questo difetto si manifesta già a poche settimane di età e si può osservare facilmente scostando le labbra del coniglietto.
FISIOLOGIA MASTICATORIA DEL CONIGLIO:
i movimenti masticatori del coniglio possono essere suddivisi in tre fasi:
- La FASE PREPARATORIA che prevede due movimenti: l’apertura e la chiusura della mascella, movimenti prevalentemente sul piano sagitale con scarsa lateralità. I protagonisti di questa fase sono gli incisivi che “incidono” il cibo che viene poi portato dalla lingua verso l’interno del cavo orale dove verrà masticato.
- La FASE DI RIDUZIONE DEL CIBO grazie a dei complessi movimenti masticatori (latero laterali e antero posteriori), con coinvolgimento dei denti premolari e molari. Durante questa fase la masticazione avviene solamente da un lato per volta. L’escursione laterale è ampia e la mascella segue dei movimenti a mezzaluna. Il ciclo prevede una fase di apertura, una di chiusura veloce e una chiusura più lenta che permette al cibo di aderire ai denti masticatori. Sebbene i denti masticatori superiori ed inferiori spesso non entrino in contatto i movimenti si adeguano alle caratteristiche anatomiche della superficie masticatoria che non è piatta ma presenta creste e infossamenti che permettono una miglior triturazione del cibo. Il ritmo masticatorio non viene influenzato dalla tessitura del cibo, ma la forza necessaria durante la rottura dell’alimento aumenta proporzionalmente in funzione della durezza dello stesso (esistono dei pressocettori che regolano tutto ciò: nulla viene lasciato al caso).
- La terza fase prevede la DEGLUTIZIONE del cibo.
Terapia
Non c’è modo di allineare in posizione corretta gli incisivi colpiti da malocclusione (non ci sono tiranti o apparecchi da applicare): quando i denti hanno una curvatura anomala il processo è irreversibile. La patologia si può affrontare in due modi: accorciandoli regolarmente o estraendoli.
Accorciamento
L’accorciamento deve essere eseguito regolarmente e mira a mantenere gli incisivi di lunghezza normale, per evitare al coniglio il fastidio di quattro lunghe zanne davanti alla bocca che gli ostacolano la prensione del cibo, le operazioni di pulizia e di ingestione del ciecotrofo e che possono impiantarsi nei tessuti della bocca. Ma soprattutto, lo scopo dell’accorciamento mira a prevenire la malocclusione secondaria dei denti molari. L’accorciamento deve essere eseguito di frequente, regolandosi secondo l’accrescimento raggiunto dai denti e non secondo la comodità e la possibilità di portare il coniglio alla visita; spesso si tratta di intervalli di appena 10-14 giorni tra un trattamento e l’altro. L’accorciamento va eseguito con apparecchiature specifiche che richiedono però la sedazione dell’animale essendo procedure stressanti che richiedono l’immobilità del paziente per evitare di provocare danni ai tessuti.
Detto ciò, dal mio personale punto di vista trovo senza senso sottoporre il mio animale a delle sedazioni ripetute, quando esiste una procedura definitiva che è l’estrazione.
Sconsiglio vivamente l’accorciamento eseguito con un tronchese. Questo tipo di intervento comporta il rischio di fratturare il dente, esponendo la polpa dentale che può andare incontro a infezione. Può anche essere un trattamento doloroso per il coniglio per il colpo che riceve il dente. Tale procedura può essere utilizzata solo in animali anziani, con malattia dentale allo stadio terminale per i quali l’anestesia comporta gravi rischi.
Il trattamento di scelta della malocclusione degli incisivi consiste nell’estrazione di tutti gli incisivi per eliminare in modo permanente il problema. Il coniglio si adatta molto bene a questa situazione, anche perché abbiamo visto che gli incisivi giocano un ruolo importante soltanto nella prima fase della masticazione. L’estrazione degli incisivi ha soprattutto il grandissimo vantaggio di impedire che si sviluppi una malocclusione secondaria dei molari, se eseguita quando questi denti hanno ancora il loro giusto allineamento. L’estrazione degli incisivi è un intervento che si esegue in anestesia generale. Talvolta anche se il dente è stato completamente estratto rimane nel fondo dell’alveolo del tessuto germinativo (che infatti si ha la precauzione di schiacciare prima di estrarre il dente), e a distanza di alcuni mesi rispunta un incisivo; in tal caso occorre ripetere l’intervento di estrazione.
Gli incisivi vanno estratti tutti!!!!!!!! Non possiamo estrarre solamente uno degli incisivi: gli altri cresceranno in modo anomalo e soprattutto sarà alterata la fisiologia della masticazione (solitamente preferisco lasciare gli incisivi accessori per avere un punto di appoggio meccanico se in un futuro dovessero presentarsi problemi ai molariformi e si rendesse necessario applicare un apribocca durante le procedure di pareggiamento)
La gestione del coniglio senza incisivi
Con qualche accorgimento il coniglio senza incisivi può mangiare tutto quello che dovrebbe mangiare un coniglio con una dentatura normale; il fieno va accorciato tagliandolo in pezzi di una decina di cm e la verdura va ridotta in pezzi di 5-6 cm (se i pezzi sono troppo piccoli il coniglio farà fatica ad afferrarli con le labbra). Gli alimenti duri, come le carote o la mela, possono essere grattugiati. Il pellet viene mangiato senza difficoltà perché non richiede l’uso degli incisivi. I conigli usano gli incisivi anche per aiutarsi nella pulizia del mantello, asportando i ciuffi di pelo morto; dopo l’estrazione dei denti occorre porre maggior cura nella spazzolatura per evitare che il pelo morto si accumuli.
- Pubblicato il Senza categoria
I camaleonti: chi sono e quali sono le specie più commercializzate
Classificazione
- Tipo: chordata
- Sottotipo: vertebrata
- Classe: reptilia
- Ordine: squamata
- Sottordine: sauria
- Famiglia: chamaleonidae
Esistono due sottofamiglie principali
Sottofamiglia Chamaeleoniae
- Bradypodion – 25 specie nel sud-est africano
- Calumma – 31 specie in Madagascar
- Chamaeleo – 14 specie in Europa, Africa e Asia
- Furcifer – 22 specie in Madagascar e nelle Comoras
- Kinyongia – 18 specie nell’Africa sub-saharina
- Nadzikambia – 2 specie in Mozambico e Malawi
- Archaius – 1 specie nelle isole Seychelles
- Triceros – 5 specie in Africa tropicale
Sottofamiglia Brookesiinae (camaleonti nani)
- Brookesia – 30 specie in Madagascar
- Rhampholeon – 18 specie in Africa orientale
- Rieppeleon – 3 specie in Africa orientale
- Palleon – 2 specie in Madagascar
In natura ci sono almeno 150 specie di camaleonti riconosciute, che variano per colore, aspetto e dimensioni. Alcuni sono talmente piccoli da trovare grande la superficie ungueale umana (Brookesia micra, che da adulto raggiunge al massimo i 3 cm di lunghezza). Sono animali molto difficili da tenere in cattività perche difficile è ricreare un habitat ideale. Informatevi bene prima di acquistarne uno in modo da essere preparati il più possibile.
I camaleonti sono dei sauri con caratteristiche molto specializzate e peculiari che difficilmente si trovano in altri animali e che contribuiscono a renderli unici nel loro genere e affascinanti nel loro aspetto
- Piedi zigodattili: si tratta di un adattamento delle dita delle zampe per facilitare la presa sui rami degli alberi (adattamento proprio anche di alcuni uccelli). Le dita sono disposte in coppie, due avanti e due dietro formando una specie di tenaglia che conferisce loro sicurezza durante lo spostamento sui rami. Le zampe anteriori hanno due artigli sul dito esterno e tre in quello interno. In quelle posteriori, per ragioni di equilibrio, la proporzione è invertita.
- Lunghe lingue retrattili, che sono in grado di estroflettere in tempi rapidissimi; la lingua è a forma di clava ed è coperta da una secrezione appiccicosa; può essere catapultata all’esterno raggiungendo in un istante una lunghezza maggiore della lunghezza stessa del rettile. Uno studio del 2004 ha mostrato che la lingua di un camaleonte di Meller (Trioceros melleri) raggiunge una velocità di 6 m/s e si scaglia su una preda distante una volta e mezzo il corpo dell’animale in un decimo di secondo.
- Coda prensile: presente nella maggior parte delle specie, in particolare quelle di maggiori dimensioni.
- Gli occhi dei camaleonti sono mobili e possono ruotare e mettere a fuoco indipendentemente l’uno dall’altro,allineandosi nel momento in cui l’animale punta la sua preda per una visione stereoscopica. Senza spostarsi, il camaleonte è in grado di osservare l’ambiente circostante a 360°. Gli occhi sono coperti quasi interamente dalle palpebre.
- Come i serpenti, i camaleonti sono privi di padiglione auricolare e di orecchio interno. Tuttavia, non sembra siano completamente sordi: possono sentire frequenze comprese tra i 200 e i 600 Hz; alcune specie comunicano con vibrazioni sui rami e suoni a bassa frequenza non udibili dagli esseri umani.
- Il dimorfismo sessuale è molto accentuato tra camaleonti: i maschi sono in genere più appariscenti delle femmine; presentano corna, creste e vistose appendici nasali.
- Le dimensioni variano molto secondo la specie, dai due fino ai 60 cm di lunghezza; animali così diversi, ovviamente avranno delle esigenze gestionali (anche solo di spazio che va messo a disposizione) completamente diverse.
Habitat e abitudini
Vivono nei climi caldi e umidi delle foreste pluviali e dei deserti. Molte specie sono native e presenti in Africa (oltre il 40% nel solo Madagascar), Europa meridionale (Andalusia e Grecia) e in tutta l’ Asia meridionale fino allo Sri Lanka.
Tutte le specie di camaleonti sono diurne e principalmente attive il mattino e nel tardo pomeriggio. I camaleonti sono molto lenti nei movimenti, e accompagnano i loro passi con un caratteristico ondeggiamento avanti e indietro. Sono cacciatori passivi, che rimangono immobili (anche per ore) in attesa di una preda di passaggio. Sono animali solitari, territoriali e spesso aggressivi nei confronti dei loro simili, eccetto che ai fini dell’accoppiamento. Questa è una caratteristica che deve assolutamente essere presa in considerazione evitando di detenere più animali insieme, perche in cattività ed in spazi ristretti finirebbero sicuramente per litigare provocandosi delle lesioni anche mortali.
Il terrario
Ricreare un ambiente simile a quello naturale è una delle maggiori difficoltà nella gestione di questi animali, ed è ciò che rende la loro vita in cattività più breve di quella naturale predisponendoli a numerose malattie gestionali. I camaleonti sono arboricoli, vivono esclusivamente sugli alberi. Il loro terrario dovrà quindi essere prima di tutto sviluppato in altezza e avere degli “alberi” che permettano loro di vivere in modo più naturale possibile (assicuratevi che le piante che inserite all’interno non siano tossiche e che possano essere edibili. Di solito si usano il ficus o il potos). Va da se che il terrario dovrà essere il più grande possibile, in relazione ovviamente alle dimensioni del nostro camaleonte. Altro fattore fondamentale da tenere in considerazione sarà la ventilazione: preferite dei terrari in rete. Come substrato potete utilizzare della fibra di cocco o altro substrato che trovate in commercio; assicuratevi che non sia costituito da particelle eccessivamente piccole che potrebbero essere ingerite accidentalmente durante la caccia e provocare ostruzione intestinale.
Nel terrario, vanno inserite diverse zone basking e zone spot (a temperatura maggiore). Le temperature del terrario vanno ovviamente valutate secondo la specie che si possiede. Alcune necessitano di zone basking a temperatura superiore.
I camaleonti bevono direttamente dalle gocce di acqua sulle foglie, ed è fondamentale ricreare questo effetto tenendo elevate umidità. Questo è un punto molto delicato: assicurare un’umidità elevata garantendo una corretta ventilazione per non creare un ambiente favorevole allo sviluppo di muffe è una delle criticità maggiori nella gestione dei camaleonti. Oggi giorno ci sono dei meccanismi che garantiscono una nebulizzazione automatica costante del terrario…ma si deve avere cura di controllare con igrometri e termometri che tutto sia corretto. L’umidità, con range di variabilità specie specifici dovrebbe essere tra i 50 e il 70 %.
Illuminazione
Richiedono un’esposizione ai raggi UVA e UVB. In commercio ci sono lampade adeguate con emissione da 5% a 10% e, nei mesi in cui le temperature lo permettono un esposizione ai raggi solari diretta (non filtrata da vetri) è fondamentale per mantenere il camaleonte in salute. Gli UVB vanno lasciati accesi a intervalli di 10\12 ore. Le lampade vanno sostituite ogni 6 mesi. Ogni lampada va coperta in modo adeguato per evitare che l’animale accidentalmente si ustioni.
Gli esemplari esposti ai raggi UV mostrano un maggiore appetito e una migliore predisposizione alla caccia e all’accoppiamento, grazie agli effetti positivi sulla ghiandola pineale, fondamentale per la regolazione dei ritmi circadiani.
Alimentazione
I Camaleonti sono insettivori, in natura si nutrono d’insetti prevalentemente (gli esemplari di maggiori dimensioni possono nutrirsi anche di piccoli mammiferi), alcune specie saltuariamente si nutrono anche di elementi vegetali (come il camaleonte caliptrato); in cattività la dieta deve essere costituita da grilli per la maggior parte, locuste, camole e altri insetti. Contrariamente a quanto si pensa non si nutrono di mosche (In Africa molte specie si nutrono regolarmente delle mosche che infestano gli insediamenti degli uomini, come ad esempio presso i mercati: si fa di necessità virtù). Per evitare l’insorgenza di patologie alimentari legate alla scarsa qualità delle prede fornite, è indispensabile curare dettagliatamente l’alimentazione anche di queste ultime: verdura, frutta e calcio devono far parte dell’alimentazione del grillo (o delle altre prede offerte). Nel caso in cui siano di recente acquisto, i grilli vanno sempre alimentati e idratati prima di essere somministrati. La varietà delle prede offerte è importante. Come intervalli di somministrazione è sufficiente una volta al giorno nell’adulto. I piccoli vanno invece alimentati più volte il giorno. Il cibo va messo in un contenitore, possibilmente vicino al ramo. Le prede che non sono mangiate devono essere rimosse.
Riproduzione
La maggior parte dei camaleonti depone uova. Le uova sono solitamente sepolte nel terreno, e vi rimangono per un periodo che può durare fino a 9 mesi. I camaleonti appena nati sono del tutto indipendenti.
Alcune specie, come il camaleontedi jackson, sono ovovivipare, cioè la femmina dopo la fecondazione tiene le uova dentro di sé fino al completo sviluppo degli embrioni.
Mutamenti di colore
I camaleonti sono famosi per il “potere” di adattare il loro colore alla superficie in cui si trovano. Infatti, alcune specie di camaleonti, ma non tutte, possono mutare il colore della pelle. Il fine primo del mutamento di tonalità non è la mimetizzazione, ma la manifestazione di determinate condizioni fisiche o fisiologiche, o di stati emozionali come la paura. Infine, influiscono sulla colorazione anche la temperatura e le condizioni di luce (per esempio la colorazione nera in un camaleonte può essere assunta sia a scopo difensivo sia, nelle prime ore del mattino, per incamerare la maggior quantità di calore possibile. La maggior parte dei camaleonti ha una colorazione che ben si adatta all’habitat di appartenenza. Quando i rettili mutano aspetto, è in genere per distinguersi dallo sfondo, e spiccare agli occhi della potenziale partner. I maschi che competono per una compagna, ingaggiano spesso lotte all’ultimo colpo di colore. Le variazioni cromatiche dipendono da un doppio strato di nano cristalli che riflettono la luce, incorporati nelle cellule della pelle di questi animali. Cambiando la posizione di questi cristalli, sono riflesse lunghezze d’onda diverse.
Curiosità
- Diverse popolazioni africane hanno miti legati al questi animali. Secondo una leggenda del popolo Chewa del Malawi, per esempio, gli dei usarono un camaleonte come messaggero per annunciare agli esseri umani l’esistenza di una vita dopo la morte.
In Madagascar il camaleonte viene visto dalla maggior parte della popolazione con timore e una sorta di soggezione. I Sakalava (tribù del Nord) ritengono infatti che i camaleonti portino in sé gli spiriti cattivi dei morti. - I camaleonti di Labord (Furcifer labordi), un’altra specie endemica del Madagascar, hanno un ciclo vitale che ricorda quello di alcuni insetti, il più corto mai registrato per un vertebrato terrestre. Le uova si schiudono a novembre, con le piogge; gli esemplari raggiungono l’età adulta e si riproducono a gennaio, per deporre le uova a febbraio-marzo. Subito dopo, l’intera popolazione muore, fino all’autunno successivo.
Principali camaleonti in commercio
Il Camaleonte Velato (Chamaeleo calyptratus) è una specie di presente nella penisola Arabica. I maschi adulti possono raggiungere una lunghezza complessiva di 60 cm, la maggior parte degli esemplari tuttavia non supera i 35–45 cm. Le femmine sono più piccole, con una lunghezza media complessiva di poco meno di 30 cm. Il maschio è principalmente di colore verde, con strisce e macchie di colore giallo, marrone e blu. Secondo lo stato emotivo dell’animale, il colore può variare da un verde brillante a un rosso grigiastro. Quando sono stressati, spesso mostrano una forte colorazione, tra cui un giallo acceso e talvolta possono diventare anche completamente neri. Le femmine non recettive e i camaleonti giovani sono generalmente di un colore verde uniforme, con alcune macchie bianche. In cattività le femmine gravide tendono a essere di un verde molto scuro con macchie blu e gialle. I maschi hanno piccoli speroni dietro le zampe posteriori, mentre le femmine ne sono sprovviste. Maschi e femmine hanno entrambi sulle loro teste un’escrescenza decorativa chiamata “casco”. Il casco del maschio è molto più sviluppato di quello della femmina. In natura vivono soprattutto tra i rami degli alberi di Acacia o di Euphorbia, ma anche su altre piante e arbusti. Passa la stragrande maggioranza della sua vita a un’altezza di 1 o 3 m dal suolo, dormendo nei rami più alti. Si nutrono prevalentemente d’insetti ma a volte mangiano anche parti di vegetali per rifornirsi di acqua se sono disidratati. La vita massima è di 4-5 anni per il maschio e di 3-4 per la femmina.
Il Flap necked Chamaleo, o Chamaleo Dilepis o camaleonte orecchiuto è diffuso principalmente nell’Africa sub sahariana. Sia i maschi sia le femmine hanno una lunghezza variabile dai 120 ai 140 mm. I maschi presentano una base della coda più larga e degli speroni sui piedi posteriori. Presenta una cresta continua di piccoli tubercoli triangolari bianchi sulla gola e sul ventre. La colorazione è variabile e può avere delle sfumature verdi, gialle pallide e marroni. La cresta del ventre è bianca e di solito c’è una striscia chiara ai lati. La temperatura ideale dovrebbe essere tra i 25 e i 32 gradi durante il giorno con una zona basking di 35 gradi, di notte la temperatura può scendere fino a 18\22 gradi con un umidità intorno al 50\60 %
Furcifer Outsaleti è un camaleonte endemico nel Madagascar. Con i suoi 65 cm di lunghezza circa (fino a 70 cm i maschi, mentre le femmine generalmente raggiungono solamente i 40 cm) può essere considerato tra le più grandi specie allevate. I giovani maschi hanno una colorazione grigio\marrone, mentre i maschi adulti sono verdi con un casco ben sviluppato sulla testa. Il casco delle femmine è meno sviluppato e la colorazione più variabile (in questa specie sono le femmine che hanno una colorazione più bella con sfumature, verdi, rosse e gialle). Mancanti invece le creste, laterali, gulari o ventrali presenti e caratteristiche di altre specie.
Vive negli ambienti aridi del Madagascar e alcuni esemplari si trovano anche in Kenya. Si può incontrare dal livello del mare sino a 1300 m di altitudine, infatti, occupa una grande varietà di habitat differenti. La testa ha una cresta curva, più grande negli esemplari maschi. Esibisce una livrea di base brunastra o verdognola con sfumature bianche.
Furcifer pardalis, detto anche camaleonte pantera, vive principalmente nelle regioni costiere del Madagascar. E’ molto variopinto, i maschi raggiungono quasi i 60 cm mentre le femmine difficilmente raggiungono i 40. Il casco è meno sviluppato rispetto ad altre specie e il naso ha una caratteristica appendice. I maschi hanno colorazioni molto più vivaci delle femmine. La colorazione varia con la locazione e i differenti motivi cromatici di Furcifer pardalis vengono generalmente chiamati “locality” e prendono il nome in base alla locazione geografica nella quale sono stati rinvenuti. F. pardalis provenienti dalle aree di Nosy Be e Ambanja sono tipicamente blu vivaci, mentre quelli provenienti da Antsiranana e Sambava sono rossi, verdi e arancioni. Le aree di Maroantsetra e Tamatave possiedono prevalentemente esemplari rossi. Esistono molte altre colorazioni e i motivi si variano sia tra regioni diverse sia all’interno di una specifica regione. Le femmine di F. pardalis generalmente rimangono color marrone chiaro o marrone indipendentemente dalla regione dalle quali provengono, ma ci sono piccole differenze nella colorazione e nei motivi. E’ una delle specie più diffuse in cattività.
Il camaleonte di Jackson o camaleonte cornuto (Trioceros jacksonii) è diffuso in Africa orientale. Il maschio si riconosce agevolmente per la presenza di tre caratteristici corni sulla testa, mentre la femmina ne ha uno più piccolo davanti agli occhi.
Misura circa 30 cm di lunghezza ed ha una colorazione verde bottiglia.
Il camaleonte di Jackson non è molto grande, infatti, arriva a misurare solo 10 cm.
È l’unica specie di camaleonte ovovivipara
Principali problemi di salute
I camaleonti dovrebbero essere osservati con attenzione tutti i giorni per rilevare prontamente anche minime alterazioni dell’aspetto e del comportamento, come un cambiamento di colore, una riduzione dell’appetito, una diminuzione del livello di attività. Questi cambiamenti possono essere la prima indicazione di stress o di problemi medici. E’ fondamentale agire precocemente per avere maggiori possibilità di successo. Attendere che il camaleonte sia visibilmente malato, con perdita di peso e disidratazione (ad esempio, infossamento degli occhi), di solito si traduce in scarse possibilità che le cure siano efficaci.
Cosa controllare
Occhi: I camaleonti sani durante il giorno tengono gli occhi aperti e si guardano costantemente intorno. I problemi agli occhi possono essere segni precoci d’infezioni respiratorie o problemi nutrizionali. Occhi infossati indicano di solito disidratazione e/o deperimento.
Bocca: eventuali asimmetrie della bocca sono l’indicazione di un problema. Valutare sempre variazioni delle abitudini alimentari. Se un camaleonte smette di alimentarsi anche solo per 24 ore è da ritenersi un problema e va portato rapidamente dal veterinario.
Corpo: Sono anormali asimmetrie, gonfiori, ulcerazioni, in particolare della bocca e delle zampe. Eventuale pelle vecchia ritenuta a livello di zampe, dita e coda va delicatamente rimossa, per evitare che ostacoli la circolazione sanguigna e causi necrosi con perdita delle dita o parti di esse.
Sistema muscolo-scheletrico: è fondamentale valutare sempre la forza di prensione sulle zampe e in genere del soggetto. Un camaleonte troppo debole per salire, o per restare sul ramo, è gravemente malato e deve essere visto al più presto. A volte l’incapacità a restare sul ramo dipende da ferite o fratture alle zampe o da una carenza cronica di calcio, cose che hanno sicuramente una prognosi più favorevole, ma in generale, l’incapacità di restare aggrappato è un segno molto prognostico negativo. Gonfiori anomali e scarsa potenza muscolare possono essere segni precoci di carenze di calcio e malattia ossea metabolica. Ricordiamoci che la lingua è un muscolo. L’incapacità di esteriorizzarla è sempre un problema.
Alterazioni del colore persistenti e associate a un cattivo stato di nutrizione non sono normali. Alterazioni focali di alcune zone non sono normali e il soggetto richiede una visita veterinaria.
La maggior parte delle patologie sono legate ad errori gestionali, sia dovuti a “stabulazioni” inadeguate, sia dovuti a problemi alimentari.
Carenze di calcio e vitamina A conseguenti ad una dieta povera e mal bilanciata. Molto spesso si presentano con infezioni al cavo orale caratterizzate da un ipersalivazione, cattivo odore e impossibilità a esteriorizzare la lingua. La malattia ossea metabolica è un’altra evenienza frequente. Malattia complessa legata a un alterato metabolismo del calcio (https://www.vncvet.it/2017/09/11/calcio-fosforo-vitamina/): generalmente appaiono letargici, con perdita di appetito nelle fasi iniziali.
- Pubblicato il Blog, Senza categoria
I problemi neurologici del riccio
I problemi neurologici del riccio
Una sintomatologia neurologica nel riccio può essere ricondotta a diversi stati o patologie:
- Torpore: quando la temperatura esterna è eccessivamente elevata, i ricci possono entrare in una condizione di torpore, simile al letargo, caratterizzata da una ridotta risposta a stimolazioni esterne, una riduzione della frequenza respiratoria e cardiaca e una riduzione in generale del metabolismo. Questa condizione può persistere per alcune settimane, fino a che le condizioni esterne non rientrano nella normalità.
- Disturbi epatici
- Eclampsia post parto: può provocare carenza di calcio.
- Malnutrizione
- Trauma
- Malattie a carico dei dischi intervertebrali: sono riportati disturbi sia a carico dei dischi cervicali che lombari. Molto spesso sono coinvolti entrambi. Le patologie che si sviluppano possono essere diverse come la degenerazione dell’anello fibroso e del nucleo polposo, estrusioni discali, mineralizzazioni del nucleo polposo. La diagnosi richiede delle indagini approfondite che prevedono rx e risonanze.
- Tossine
- Infarti
- Disturbi infettivi (forme batteriche, parassitarie, virali, come ad esempio la rabbia, micotiche)
- otite media: con sintomatologia vestibolare. In alcuni casi si possono avere anche segni riconducibili a un problema centrale.
- Demielinizzazione
- Poliencefalomalacia
- Neoplasie
La demielinizzazione o wobbly hedgehog syndrome richiede una discussione a parte.
Si tratta di una malattia degenerativa progressiva che può colpire sia i ricci africani sia i ricci europei. Non si conosce ancora con precisione la causa, si sospetta una componente genetica ereditaria. Si presuppone una possibile componente carenziale.
Questa patologia si verifica circa nel 10% dei ricci. L’insorgenza può avvenire a tutte le età, anche se è più frequente nei soggetti < 2 anni. Un sintomo precoce può essere l’incapacità di “chiudersi a riccio”. Da questo primo sintomo si ha un aggravamento progressivo che porta ad atassia che peggiora fino alla paralisi che colpisce prima gli arti anteriori e poi i posteriori. Si possono avere anche
- Cadute
- Tremori
- Esoftalmo
- Deviazioni della colonna
- crisi epilettiche
- Atrofia muscolare per difficoltà nella deambulazione
- Automutilazione
- perdita di peso
La morte sopraggiunge in 15\18 mesi dopo i primi sintomi. L’appetito è conservato fino alla fase terminale della malattia, quando sopraggiunge la disfagia (incapacità a deglutire). La diagnosi di certezza si ha si ha solo con un esame autoptico.
- Pubblicato il Blog, Senza categoria
L’alimentazione delle tartarughe terrestri: cosa mangiano le specie più diffuse
Con il risveglio dal letargo ritornano a farci compagnia le tartarughe che ci hanno abbandonato durante l’inverno per gustarsi un sonno ristoratore…beate loro…
Il letargo, e i momenti immediatamente prima e dopo, rappresentano un momento molto delicato che va gestito con attenzione (https://www.vncvet.it/2017/03/22/risvegli/)( https://www.vncvet.it/2016/11/28/il-letargo-quando-come-e-perche/).Fondamentale è anche la gestione delle tartarughe quando sono sveglie e la loro alimentazione. Prima di tutto è importante riconoscere che specie possediamo in casa. Sembra scontato ma molte persone non ne sono consapevoli e pensano che le tartarughe si dividano in due gruppi: le tartarughe di terra e le tartarughe d’acqua. Niente di più sbagliato. Ci sono un’infinita di specie diverse ognuna con delle caratteristiche gestionali e alimentari proprie.
Principali tartarughe
Testudo hermanni: è originaria del sud dell’Europa; Spagna orientale, Francia meridionale e Corsica, Italia centrale e meridionale (comprese Sicilia e Sardegna), Isole Baleari, Balcani, paesi dell’ex Yugoslavia, Albania, Bulgaria, Romania, Grecia e Turchia. In queste aree la distribuzione delle popolazioni è molto discontinua.
T. h. boettgeri è la sottospecie orientale, distribuita nei Balcani, mentre T. h. hermanni occupa le zone occidentali (Spagna, Francia e Italia).
L’habitat naturale di T. hermanni è rappresentato dalle foreste di querce; a causa della distruzione di questo tipo di paesaggio questa tartaruga ha occupato la macchia mediterranea, composta di colline cespugliose aride. Durante le ore più calde delle giornate estive si rifugia all’ombra, ed è più attiva la mattina e il tardo pomeriggio.
Testudo greca: T. graeca graeca è originaria del nord Africa, e occupa un habitat semi arido costituito da boscaglia, con forti variazioni stagionali sia del clima sia della disponibilità di foraggio verde. Nelle aree meridionali del suo range di distribuzione è attiva durante il periodo invernale, che è a clima mite, ma nei periodi più caldi va in estivazione sotto terra. Nelle aree settentrionali subisce periodi di letargo di diversi mesi durante l’inverno, mentre è attiva in estate.
T. g. ibera ha una zona di distribuzione piuttosto vasta: Turchia, Grecia nord – orientale, Iran, Iraq, Giordania, Siria e Georgia. E’ stata introdotta in Sardegna. L’habitat va dal livello del mare a 2700 m di altitudine, e consiste di pianure asciutte, colline cespugliose, boscaglia.
Testudo marginata: Il suo areale di distribuzione comprende Albania sud – occidentale, Grecia, Isole Egee di Skyros e Poros. In Sardegna e in qualche località della Toscana esistono popolazioni introdotte da secoli. L’habitat naturale è rappresentato dalla macchia mediterranea (Sardegna e Toscana) e da zone collinose a boscaglia a ridosso dei campi coltivati.
Testudo horsfieldi: Ha una distribuzione piuttosto vasta, dalla costa sud – orientale del Mar Caspio fino a Iran, Afganistan e Pakistan, e a est fino alla Cina occidentale. Occupa ambienti aridi, deserti rocciosi, steppe delle regioni montagnose, fino a un’altezza di 1.600 metri (ma alcuni soggetti sono stati trovati fino a 2,300 m), ambienti con forti sbalzi climatici. Si trova più di frequente accanto a fonti d’acqua, dove la vegetazione è più abbondante. Per riparasi dalle temperature estreme scava nel terreno gallerie lunghe anche 2 metri, e a volte occupa le tane abbandonate scavate dai mammiferi. Nella parte più a nord del suo range T. horsfieldii va in letargo durante l’inverno, mentre nella parte più a sud va in estivazione d’estate.
Fornire un’alimentazione corretta alla nostra tartaruga, è fondamentale perché permette di prevenire numerosi problemi del tratto gastrointestinale ma non solo. Le tartarughe mediterranee sono specie strettamente erbivore; qualunque fonte di proteina animale deve essere totalmente bandita dalla loro dieta. La dieta in cattività deve rispecchiare più possibile quella naturale: ricca di fibra, minerali, microelementi e vitamine, povera di grassi e con poche proteine vegetali.
L’alimentazione ideale è composta dalle piante che crescono spontaneamente in prati e giardini: erba, trifoglio, tarassaco, piantaggine, fiori.
Se la tartaruga ha a disposizione questi alimenti in quantità sufficiente, non è necessario alcun tipo di integrazione.
I vegetali coltivati rappresentano una scelta nettamente inferiore, e vanno dati sporadicamente, nei periodi in cui sia carente l’alimento naturale. La frutta va limitata, perché in quantità eccessiva causa gravi disordini intestinali, favorendo le fermentazioni; inoltre non contiene adeguati livelli di calcio.
In terrario
Il soggetto che è tenuto in terrario ha un’alimentazione diversa dal soggetto che vive all’aperto. Una tartaruga di quelle sopra descritte che vive in terrario deve farlo per un periodo limitato e solo per particolari problemi. La tartaruga ha bisogno di vivere all’aperto con un’esposizione naturale al sole.
In commercio ci sono dei mangimi formulati per rettili erbivori. Questi alimenti non devono essere dati in eccesso perche sono molto ricchi di carboidrati e potrebbero provocare dei disturbi e dei gravi problemi metabolici. Una dieta corretta prevede la somministrazione di verdura di vario genere come lattuga romana, radicchio, rucola, cicoria, cavolo e, se possibile, erba fresca raccolta nel prato (attenzione che non sia trattata). Saltuariamente potrà essere somministrata anche della frutta. Una tartaruga che vive all’interno deve avere un buon apporto anche di calcio che possiamo fornirle attraverso l’osso di seppia o attraverso specifici integratori che si trovano in commercio. Sia l’uno sia l’altro vanno spolverati semplicemente nel cibo. È bene ricordare che il calcio per essere assorbito correttamente a livello intestinale deve sfruttare la vitamina D che a sua volta per essere attiva, ha bisogno della luce solare diretta o delle lampade UVB. (https://www.vncvet.it/2017/09/11/calcio-fosforo-vitamina/)
All’esterno
La tartaruga che vive liberamente all’esterno può avere una grande varietà di piante e fiori che crescono spontaneamente nei nostri giardini. Questi rettili sono ghiotti di trifogli, e denti di leone. Occasionalmente si può fornire loro della frutta. L’alimentazione può essere integrata somministrando verdura, soprattutto se ci sono più tartarughe e se il prato non è molto folto.
I cibi da evitare
Le specie erbivore alimentate con una quantità eccessiva di proteine vanno incontro a una crescita deforme della corazza, che appare “bozzellata” anziché liscia ed è troppo tenera a causa dell’insufficiente calcificazione, e a gravi problemi a carico del fegato e dei reni. Ciò può essere causato non solo dalla somministrazione di carne e di alimenti per cani e gatti, ma anche di fagioli, piselli, fagioli germinati e simili alimenti vegetali ricchi di proteine.
L’insalata brasiliana va evitata perché è particolarmente scarsa dal punto di vista nutritivo.
Totalmente controindicati e dannosi sono i carboidrati (pane, pasta, ecc.), il latte e i derivati del latte, qualunque alimento contenente proteine animali (carne, cibo per cani e gatti, mangime per tartarughe onnivore, larve d’insetti).
Non deve mai mancare un basso recipiente d’acqua, sempre fresca e pulita, cui la tartaruga possa facilmente accedere per immergersi a bere.
ANCHE SE UN ALIMENTO VIENE ASSUNTO VORACEMENTE E APPARENTEMENTE CON GUSTO, NON SIGNIFICA CHE POSSA ESSERE SOMMINISTRATO. FATE ATTENZIONE A QUELLO CHE METTETE A DISPOSIZIONE COME ALIMENTO. DIVERSAMENTE DA ALTRE SPECIE, E’ PIU’ DIFFICILE CAPIRE QUANDO C’E’ QUALCOSA CHE NON VA E QUANDO CI SONO DEI SINTOMI ESTERNI E’ GIA TROPPO TARDI. ABBIATE CURA DÌ CIO’ CHE AVETE
- Pubblicato il Senza categoria
Protagonisti silenziosi (quasi sempre) della notte: i rapaci notturni
Sin dall’antichità popolano il mondo delle tenebre, e nel tempo, loro malgrado, sono diventati simboli di presagi e buoni o cattivi auspici. Di una bellezza unica incantano e affascino chi per sbaglio, o per fortuna ha l’occasione di incontrarli.
I rapaci notturni appartengono all’ordine degli stringiformi e si suddividono in due famiglie
- Tytonidi: Barbagianni con circa 10 specie
- Stringidi: Gufi, Civette, e Assioli con circa 125 specie
Caratteristiche comuni
- Hanno occhi grandi posti frontalmente molto sensibili che gli permettono di vedere distintamente anche in condizioni di scarsa luminosità.
- Le ali possono essere allungate (come nel barbagianni o nel gufo comune), oppure tozze e corte (come nell’allocco e nella civetta) in funzione dell’ambiente in cui vivono. Le ali lunghe permettono un volo molto agile, mentre le ali corte permettono un volo meno agile ma più veloce e si adattano meglio ad ambienti con molta vegetazione.
- La testa è tondeggiante e molto mobile.
- Il becco ha una forma a uncino
- Il piumaggio di questi animali è morbido, caratteristica dovuta a una specie di velluto che ricopre tutte le penne. Questo insieme alla sfrangiatura delle penne remiganti primarie conferisce silenziosità al volo. Si tratta di un’arma che permette ai rapaci notturni di catturare le proprie prede puntando sull’effetto sorpresa. Anche il mimetismo è un’arma fondamentale. Silenziosità e mimetismo permettono a un rapace notturno di studiare la propria preda per diverso tempo senza che corra rischio di essere scoperto.
- Gli artigli sono adunchi e taglienti e hanno quattro dita: due avanti e due indietro.
- Nelle zampe, i tarsi sono tozzi e spesso sono ricoperti da piumino che ha lo scopo di proteggerli dai morsi delle prede e dal freddo. La pianta del piede presenta cuscinetti che garantiscono una presa sicura su prede e posatoi.
- Tutti i rapaci notturni sono carnivori e predatori. Si nutrono quasi esclusivamente di prede vive. Le prede più frequenti sono micromammiferi e uccelli, ma anche invertebrati (lumache, lombrichi, insetti, ecc.) e più raramente rettili e anfibi. Alcune specie si nutrono anche di pesce e di mammiferi di medie dimensioni (conigli, lepri). Di solito ingoiano la preda intera. Dopo che le parti digeribili sono state assimilate, ciò che resta è rigurgitato dall’animale sotto forma di pallottole, le borre. Questi boli contengono ossa, piume, pelo ed esoscheletri d’insetti.
I sensi
La vista dei rapaci è sviluppata in modo da garantire un’efficiente visione notturna. Gli occhi sono grandi (ad esempio l’occhio di un gufo reale è quanto quello di un uomo). L’occhio di un rapace notturno intensifica la poca luce ambientale presente, ma non è in grado di vedere nel buio totale, per questo la vista è usata negli spostamenti ma non è sufficiente per l’individuazione delle piccole prede a distanza. Per questo scopo utilizzano principalmente l’udito. Mentre la vista è utilizzata solo per spostarsi nel loro habitat durante la notte senza andare a sbattere negli ostacoli, l’udito è il senso più sviluppato ed è utilizzato nella caccia. Per amplificare le onde sonore, possiedono numerosi adattamenti fisiologici e anatomici, come la posizione asimmetrica delle cavità auricolari e la struttura del volto (disco facciale) che funge da parabola di amplificazione.
L’udito cosi amplificato, permette a questi uccelli di individuare con precisione la presenza e la posizione di una preda anche a decine di metri di distanza e senza vederla. Spesso i rapaci notturni inclinano la testa di lato con un movimento detto bobbing, che gli consente di inquadrare meglio la provenienza di un suono che ha catturato la loro curiosità.
CONOSCIAMOLI MEGLIO
ll barbagianni
I barbagianni sono fra i rapaci più diffusi al mondo, presenti ovunque tranne che in Antartide e riconoscibilissimi per il loro disco facciale a forma di cuore e per il piumaggio quasi del tutto bianco o chiaro. Un tempo abitavano le cavità tra le rocce, ma col tempo, in seguito all’urbanizzazione, capita sempre più di trovarli in campagna, presso soffitte e granai (non a caso in inglese sono chiamati “barn owls” ovvero gufi dei granai). Vivono da sempre vicino all’uomo e però, ancora oggi, sono spesso vittime di superstizioni e associati a sinistri presagi, soprattutto per via del loro verso prolungato e stridente, molto diverso da quello di gufi e civette.
Forse per via del verso misterioso, del piumaggio bianco che li rende presenze “spettrali” nei loro silenziosi voli notturni, i barbagianni godono fin dai tempi più antichi di una fama negativa: molte popolazioni li considerano portatori di sventure, incarnazioni di streghe e maghi o veri e propri fantasmi. Hanno nei vari secoli corso il rischio di essere sterminati per via di queste superstizioni e leggende. Fortunatamente in condizioni favorevoli questa specie riesce a riprodursi con grande velocità e molte leggi oggi la proteggono.
Il gufo
Il gufo comune è un rapace diffuso nel Nord America, in Europa e in Asia. Vive principalmente nelle foreste di conifere e nei boschi. E’ caratterizzato da tipici ciuffi sulle orecchie. Durante il giorno dorme nelle cavità degli alberi o in vecchi ruderi, perfettamente mimetizzato dal piumaggio. Le sue dimensioni variano fra i 35 e i 40 cm di lunghezza, con un’apertura alare di 90-100 cm. Il gufo non può muovere gli occhi, in compenso, però riesce a ruotare la testa di ben 270°. Da dicembre a febbraio, i gufi comuni trascorrono le proprie giornate sullo stesso albero dal quale poi s’involano la sera, per andare a caccia. All’inizio della primavera si disperdono, abbandonando il dormitorio, per accoppiarsi e nidificare.
Da sempre, rappresenta un punto di contatto con la parte più ignota della natura. Con la sua figura silenziosa il gufo influenza il nostro immaginario da sempre: nelle fiabe, nell’arte, nei romanzi, al cinema e persino tra le stelle. Rappresenta in tanti miti la profezia e la chiaroveggenza. In Cina i giorni del gufo anticamente erano i giorni perfetti per forgiare spade invincibili e specchi magici. Per gli indiani d’America il gufo protegge gli uomini durante la notte e viaggiando nell’oscurità diventa messaggero del mondo dei defunti. Nella tradizione degli aborigeni dell’Australia meridionale il gufo rappresenta lo spirito femminile e per questo è rispettato e protetto.
L’ allocco
È diffuso in tutta Italia, tranne che in Sardegna e nel Salento, e in gran parte dell’Europa, Asia e Africa del Nord. Generalmente si trova in ambienti boschivi, anche se si adatta facilmente agli ambienti agricoli e antropizzati. Notturno al di fuori del periodo della riproduzione, durante l’allevamento dei piccoli è attivo anche al crepuscolo o in pieno giorno. Per il riposo utilizza posatoi su conifere, alberi coperti di edera, camini e anfratti nelle cascine o nei monumenti.
Ha occhi neri, non possiede ciuffi auricolari, si mimetizza alla perfezione nel bosco, il suo colore può sembrare la corteccia di un albero. La taglia è di 38 cm, il peso variabile ma non supera i 600 grammi. Il dimorfismo sessuale è caratterizzato dalle dimensioni maggiori della femmina, caratteristica comune agli Strigidi.
L’ assiolo
E’ il più piccolo rapace notturno che nidifica nella nostra regione preferendo cavità di alberi o anche di edifici in pietra, soprattutto nei centri storici. Misura appena 20 centimetri di altezza con un peso che può oscillare dai 60 ai 135 grammi e si nutre soprattutto d’insetti come cavallette, coleotteri e falene. Il colore varia dal grigio al bruno-rossiccio mentre sulla testa sono presenti due “ciuffi auricolari”, ben evidenti quando l’esemplare è “a riposo” ma che sono abbassati quando è in attività o in allarme. Caratteristica la sua breve nota fischiata “chiùu” ripetuta a intervalli regolari e che da molti è erroneamente attribuita alla Civetta. Durante l’inverno migra in posti caratterizzati da un clima più mite.
La Civetta
E’ diffusa in tutte le zone a clima caldo temperato dell’Europa, dell’Asia e del Nord Africa. In Italia la civetta è il rapace notturno più diffuso con una capacità di diffusione e nidificazione sorprendentemente elevata rispetto ad altri paesi europei. Non è diffusa nelle zone alpine, infatti, in genere il suo aerale va dal livello del mare fino a 600 m di altitudine (salvo qualche rara eccezione.)
Da adulta misura circa 21-23 centimetri. Il colore del suo piumaggio è bruno con una densa “sgocciolatura” fulva e con macchie bianche, mentre la nuca è completamente priva di “ciuffi auricolari”. I giovani si distinguono facilmente dagli adulti oltre che per il piumaggio di colore molto più uniforme anche perché le piume sulla fronte sono poco sviluppate e corte dando alla testa una forma quasi rettangolare mentre negli adulti le piume sono uniformemente sviluppate conferendo un aspetto più rotondeggiante. Il richiamo più comune della Civetta è uno squillante e miagolante “quì-uu”. Nidifica in cavità di tronchi, cascinali, fienili e altri tipi di edifici in pietra. Le popolazioni locali possono spostarsi in caso d’innevamento prolungato ma è una specie presente tutto l’anno.
Nella storia
Molte culture, nel corso della storia umana, si sono arricchite di miti e leggende che hanno spesso attribuito a questi uccelli cattiva sorte, presagi di sventura e in molti casi hanno reso questo popolo della notte oggetto di ingiuste persecuzioni e stermini, trovando la loro giustificazione solo nell’ignoranza e nei pregiudizi. La storia medioevale lega questi animali all’oscurità e al male, racconta di influenze malefiche, di demoni trasformati in gufi e di civette compagne delle streghe e portatrici di disgrazie. Percorrendo le varie epoche storiche arriviamo al tempo dell’antica Roma, qui erano temuti gli influssi malefici dei gufi che, secondo convinzioni popolari, sovente annunciavano con il loro canto la fine di un imperatore. Gli egizi, come pure tante tradizioni popolari europee, associavano la civetta e gli altri Strigiformi alla morte. Gli Indios consideravano segno nefasto l’incontro con una di queste creature della notte. Addirittura le varie superstizioni portavano ad usare queste specie o parti del loro corpo come ingredienti di pozioni magiche, incantesimi o per la preparazione di antidoti e cure alle malattie più strane. Le feroci persecuzioni che i rapaci notturni hanno subito in passato e le terribili pratiche che vedevano nell’uccisione di questi innocui animali la maniera di vincere la sfortuna, rappresentano la diretta conseguenza di queste antiche superstizioni che hanno mietuto vittime anche in altri gruppi di animali come i chirotteri, i gatti e i rapaci diurni. Ma non è sempre stato così. La storia dell’uomo ha visto innumerevoli civiltà identificare nei rapaci notturni valori positivi, riscattandone l’ingiustificata sinistra fama. La capacità degli uccelli di innalzarsi dalla terra e padroneggiare il cielo, ha conferito loro in molte culture il ruolo di messaggeri delle divinità. Innumerevoli rappresentazioni di questi uccelli si ritrovano nella simbologia precolombiana nella cui cultura i rapaci notturni sono legati al mondo soprannaturale, considerati guardiani della notte, delle piogge e delle tempeste. Secondo alcune tribù indiane d’America erano messaggeri di morte, per altre simbolo di saggezza. Nella mitologia greca la civetta è considerata l’uccello notturno compagno di Athena, dea della sapienza, delle arti e della saggezza, ancora oggi è rappresentata nella moneta da 1 euro.
Negli ultimi anni la comunità scientifica sta prestando sempre più attenzione a questo gruppo di uccelli e sono nati diversi gruppi e associazioni che si prefiggono il duro compito di combattere e smontare questi pregiudizi e comportamenti errati;
Protezione
Ognuna di queste specie ha un ruolo fondamentale nell’ecosistema a cui appartiene come ad esempio regolare la popolazione dei roditori. Rappresentano un tesoro di biodiversità che va protetto e tutelato.
- Pubblicato il Blog, Senza categoria
Le fusa del gatto: un mezzo di comunicazione complesso e una fonte potenziale di auto-guarigione.
Perché si dice fare “Le Fusa”:
La denominazione deriva dal fatto che questo suono caratteristico, emesso con il respiro, assomiglia al gentile frullare del vecchio fuso usato un tempo per filare la lana. Si tratta di una specie di “r” ripetuta, dolce e suadente. Solo in Italia non ha un nome onomatopeico; infatti, in tutti gli altri paesi il nome richiama il rumore:
- In Francese si dice ronnronner
- In Inglese purr,
- In Tedesco schnurren,
- In Spagnolo ronroneo,
- In lettone ņurrāt
Le fusa dei gatti sono a tutt’oggi ancora un piccolo mistero. Siamo abituati a pensare che il gatto faccia le fusa quando è contento, ma in realtà le fusa sono un segnale che a volte può essere ambiguo, e i motivi e i modi per i quali vengono emesse non sono ancora del tutto chiariti. Il gatto sa esprimere benissimo le sue emozioni e il suo stato d’animo e lo fa non solo per manifestare affetto all’uomo, ma anche per mostrare disagio, nervosismo e inquietudine.
Si tratta di un linguaggio innato che si manifesta fin dalla prima poppata. I gattini sono in grado di fare le fusa a partire già dal secondo giorno di vita; sebbene non possano miagolare e allattarsi contemporaneamente, possono fare le fusa mentre mangiano, per comunicare alla mamma che tutto sta procedendo bene e che stanno mangiando a sufficienza. I gatti, a differenza dei grandi felini che possono fare le fusa solo in fase di espirazione, hanno la capacità di fare le fusa continuativamente. La mamma risponde a questo comportamento del gattino facendo le fusa a sua volta, per rassicurarlo. Utilizza le fusa anche per tranquillizzarli quando sta entrando in tana dopo un periodo di allontanamento, o quando li afferra dalla collottola per spostarli.
Come vengono generate le fusa:
È ancora in discussione la vera natura delle fusa del gatto. Ci sono state negli anni diverse teorie, alcune superate altre in via di studio. Secondo una teoria questo suono particolare deriva dalla contrazione dei muscoli della laringe che avviene circa trenta volte al secondo, blocca l’aria e provoca questo ronzio attutito. La variazione di suono dipende dalla velocità dell’aria. Il suono che ne deriva è dolce, breve e di bassa intensità.
Secondo altre versioni il gatto fa le fusa facendo vibrare le corde vocali accessorie, altri studi invece sostengono che siano dovute a vibrazioni della cassa toracica in seguito al movimento del sangue nella vena cava.
Quando e perché fa le fusa:
In età adulta il gatto fa le fusa quando lo si accarezza, quando gli si parla, quando ci si avvicina. Tra gatti le fusa servono per comunicare il loro “star bene”. Le fusa però vengono fatte anche in momenti di dolore come il parto, o di stress come la visita dal veterinario.
Sembra che in questi casi i gatti facciano le fusa per rassicurarsi e per scaricare la tensione.
I gatti spaventati possono fare le fusa per comunicare sottomissione o atteggiamento non aggressivo. Mentre fanno le fusa, producono endorfine, sostanze prodotte dal cervello, dotate di proprietà tranquillizzanti. Alcuni gatti, mentre fanno le fusa, sollevano la terza palpebra; altri “fanno la pasta”, esibendosi in quel tipico movimento alternato delle zampe anteriori, come il gattino quando sugge il latte materno.
Le fusa aiutano a risanare piccoli problemi
Un antico detto popolare anglosassone recita “Metti un gatto che fa le fusa e una manciata di ossa rotte e vedrai che le ossa guariranno!” Secondo alcuni studi le basse frequenze emesse dalle fusa del gatto, 25-50 Hz, pare possano contribuire alla guarigione delle ossa fratturate e di lesioni ai tendini. Non solo, anche in caso di semplice ferita sono un toccasana: mantengono la pressione sanguigna entro i valori normali di riferimento aiutando la pelle a rigenerarsi.
Le fusa rilassano
Pare che stare vicino a un gatto che fa le fusa faccia bene avendo proprietà rilassanti. Può sembrare strano ma le fusa del gatto viaggiano sulla stessa frequenza della musica classica che ha rinomate proprietà “anti-stress”. Inoltre anche il loro suono continuo e la vibrazione rilassa i nervi rilasciando la tensione accumulata nei muscoli. Calmano anche il battito del cuore: ci sono studi che dimostrano come i proprietari di gatti riducano del 40% il rischio di subire una patologia cardiaca grave. Secondo un veterinario francese, dott. Gauchet, il ronron, hanno effetti positivi sull’organismo umano in quanto il suono viene recepito dall’ippocampo del cervello producendo serotonina, l’ormone del buon umore, influendo positivamente sul sonno.
Fusa da record
Esiste in Inghilterra una gatta “Smokey” che fa le fusa da Guinness dei primati: l’intensità è risultata di 92 decibel. Le fusa del gatto in genere raggiungono i 25 decibel!
L’origine fiabesca
Una fiaba tedesca racconta la storia di una principessa che per salvare il suo amato doveva filare diecimila matasse di filo in un mese. Grazie all’aiuto dei suoi gatti la principessa riuscì nell’opera e per ringraziarli regalò loro la capacità di fare le fusa, ovvero il suono dei fusi sul filatoio.
Se il mio gatto non le fa
È bene non preoccuparsi troppo se il proprio gatto non fa le fusa. Spesso siamo noi a non percepirle perché possono essere emesse su una frequenza troppo bassa, quasi impercettibile. Si può provare ad avvicinare l’orecchio alla gola del gatto per percepirne la vibrazione. A volte i gattini allontanati troppo presto dalla mamma possono non emettere le fusa perché non è stato loro insegnato come si fa. Invece può capitare che il gatto di casa smetta improvvisamente di farle, in questo caso potrebbe essere utile cercare di capire se è cambiato qualcosa nella routine quotidiana.
e gli altri felini?
I “grossi felini”, leoni, tigri, leopardi, giaguari, non fanno le fusa perché non hanno la struttura anatomica preposta. I loro cuccioli emettono vibrazioni simili e con un significato analogo, anche se diverse per suono e durata, perché sono prodotte solo nella fase espiratoria (le vere fusa sono emesse anche nella fase inspiratoria). Questi felini sono invece caratterizzati dal ruggito.
I “piccoli felini”, come il gatto selvatico, la lince, il puma e altri, fanno le fusa ma non ruggiscono.
- Pubblicato il Blog, Senza categoria